venerdì 23 novembre 2012

LO SO CHE È PRESTO, MA...


- Quei due 
sono davvero matti... 
ma cosa stanno facendo? 
Chissà da dove arrivano vestiti così, 
stanchi, sporchi, a quest'ora della notte. 
Su quell'asino vecchio che tra tre passi schiatta. 
E poi lei, quella ragazza! 
Avrà si e no quindici anni ed è già incinta! 
Ma chi è quello sciagurato che la porta in giro conciata così. 
Sembra più grande di lei, di qualche anno. Non ha niente nella testa!
Un po' mi fanno pena... spero che non vengano a bussare qui da noi, 
perché non ho minimamente voglia di aprirgli. 
Farò finta di niente, come se non fossimo in casa. 
Ah, ecco, si sono fermati dalla mia vicina. 
Lei è sempre ospitale, ha sempre un sacco di gente in casa... 
"mi dispiace, qui siamo già in tanti, non abbiamo posto...".
No, non ci voleva! adesso tocca a noi... che faccio? gli apro o non gli apro? 
Lui è sicuramente uno del nord, con quella faccia e quell'accento! 
Si arrangino, non si va in giro con una donna che deve partorire.
 Ho già le miei rogne a cui pensare... - 



Per qualcuno è già iniziato. Per altri deve ancora iniziare. Fatto sta che tra poco è Natale. Mi pare già di sentire l'eco lamentoso di chi non sento più il Natale come una volta
Come una volta? Perché che differenza c'è? Cosa è cambiato: il giorno? Il nome della Festa? Il nome del Festeggiato? 
Sarò lamentoso e spero di sbagliarmi, ma la realtà parla da sola, senza che noi la descriviamo a parole: abbiamo riempito il Natale con una montagna di significati che non gli appartengono. Lo abbiamo fatto diventare, per essere politicamente corretti -mamma mia quanto odio quella correttezza politica!-, la festa dell'inverno, la festa della neve. Natale è diventato sinonimo di vacanze, di neve, di pranzi e cene interminabili, di luminarie per strada, di code ai centri commerciali, di regali costosissimi; per qualcuno significa un viaggio in un posto lontano, il posto più lontano possibile da qui. A qualcuno il Natale rievoca cattivi ricordi, fantasmi del passato, che è meglio non tirare fuori dagli armadi della nostra anima.  
E così il Natale ci passa accanto. Come un giorno qualsiasi. Senza preparazione, senza accorgimenti, senza niente. 


- Caspita com'è tardi! questa sera non ho notato il tempo che correva 
e non mi sono accorto che sono già le due del mattino! 
Avevo da fare un sacco di cose: 
finire di sistemare la casa, 
dopo la festa di compleanno di mia figlia di ieri pomeriggio, 
sistemare i conti, le entrate le uscite, 
che da troppo tempo rimangono lì senza che nessuno che li guardi... 
e poi c'era il cane da portare a passeggio, 
l'immondizia da buttare, 
quel mobile da riparare, 
quel libro che volevo finire di leggere da tempo... - 


martedì 20 novembre 2012

NOVITA'



Da oggi i commenti al Vangelo, 
generalmente identificati con l'etichetta "da quale pulpito",
verranno postati su un nuovo blog. 
Ecco l'indirizzo 



Diapason continuerà a vivere, ovviamente, 
affinché la vita possa passare sempre attraverso tutte le cose!


Colgo l'occasione per ringraziare quanti visitano quotidianamente, 
saltuariamente o anche solo per caso, questo blog. 
In media siete una cinquantina al giorno. 
Tantissimi per me che non sono nessuno!

ciao

lunedì 19 novembre 2012

E COSI' È ACCADUTO

Mentre si avvicinava a Gerico, un cieco era seduto a mendicare lungo la strada. Sentendo passare la gente, domandò che cosa accadesse. Gli risposero: "Passa Gesù il Nazareno!". Allora incominciò a gridare: "Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me!". Quelli che camminavano avanti lo sgridavano, perché tacesse; ma lui continuava ancora più forte: "Figlio di Davide, abbi pietà di me!". Gesù allora si fermò e ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, gli domandò: "Che vuoi che io faccia per te?". Egli rispose: "Signore, che io riabbia la vista". E Gesù gli disse: "Abbi di nuovo la vista! La tua fede ti ha salvato". Subito ci vide di nuovo e cominciò a seguirlo lodando Dio. E tutto il popolo, alla vista di ciò, diede lode a Dio. 
Lc 18, 35-43

Al centro del Vangelo di oggi c'è una domanda che Gesù fa al cieco di Gerico: che cosa vuoi che io faccia per te? Quante volte anche noi avremmo bisogno di sentirci rivolgere una domanda del genere? Gesù lo chiede al cieco, diventato cieco per qualche motivo a noi sconosciuto, e lo chiede anche a noi, che ogni giorno rischiamo di perdere la vista, cioè rischiamo di non essere in grado di comprendere ciò che ci accade e di adottare l'atteggiamento giusto per affrontare le nostre giornate. C'è una grande fiducia in quest'uomo nei confronti di Gesù: ne ha sentito parlare molto (anche noi abbiamo sentito parlare spesso di Gesù) e non ha vergogna ad urlargli il suo bisogno. La fede di quest'uomo lo salva perché non si fa bloccare dalla vergogna, dalla pigrizia, dall'opinione degli altri. Non aspetta che qualcun altro si faccia avanti prima di lui: lui ha bisogno di una vita guarita e salvata e lui si fa avanti. È questo il motivo per cui si salva: perché ha il coraggio di saltare in piedi e di affidarsi ad uno che poteva farlo vivere di nuovo. 
E così è accaduto. 

venerdì 16 novembre 2012

PROPRIO DOVE SIAMO


«Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva. 
Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». 
Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».


Lc 17, 26-37


Non c'è da aspettarsi grandi cose, grandi miracoli, grandi eventi: il regno di Dio entra nella quotidianità della vita e la trasforma migliorandola. Il regno di Dio è Gesù con il suo insegnamento, mai conosciuto abbastanza, spesso presupposto, perché ci ricordiamo di qualche paraboletta imparata al catechismo da bambini e pensiamo ci possa bastare. La vita può continuare anche così: da un lato il grande desiderio di migliorarla, di trovare un po' di pace, una gioia vera, che renda felici al di là di ciò che accade; dall'altro la fatica, forse la pigrizia, di non lasciar cambiare le giornate così come le viviamo, di non avere quegli occhi capaci di guardare alle cose e alle persone così come guardava Gesù. Si rimanda sempre la scelta di diventare veri discepoli del Maestro, perché c'è sempre qualcosa da fare: mangiare, bere, comprare, vendere, piantare, costruire, prendere moglie o marito. Ma è proprio in quel qualcosa da fare (la vita) che Gesù aspetta i suoi discepoli. Lui ci aspetta proprio dove viviamo, proprio nelle cose che facciamo tutti i giorni. Chiede di vivere le nostre occupazioni con lo stile che ci ha insegnato. Chiede di essere lievito, invisibile ed efficace, nella pasta delle cose del mondo. Chiede conversione, ogni giorno; chiede di essere luce, ogni giorno; chiede di essere amore, ogni giorno; chiede di cercare e trovare una direzione e un senso. Il coraggio, la voglia, la decisione di farci istruire dalla semplicità disarmante del vangelo deve partire da noi, dal nostro vivere quotidiano, dalle cose che facciamo, perché è solo nella vita quotidiana che si guadagna la vita eterna. Il regno di Dio è già qui, in mezzo a noi; il paradiso iniziamo a costruirlo noi, con le nostre mani. E in quel regno ci entrerà soltanto chi vorrà. Chi non vorrà continuerà a fare quello che faceva e verrà lasciato. 

Dove (verrà lasciato)? 
Dove sarà il cadavere, dove non ci sarà più vita, dove la vita non avrà più senso. 
E là, ci saranno anche gli avvoltoi. 

giovedì 15 novembre 2012

IN MEZZO A VOI!


Interrogato dai farisei: "Quando verrà il regno di Dio?", rispose: "Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!". Disse ancora ai discepoli: "Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete. Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli. Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione. 

Lc 17, 20-25


Il regno di Dio non è un luogo del mondo. È un modo di stare nel mondo. La vita, spesso, ci convince di come occorrerebbe essere un po' scaltri per non farsi azzoppare dalle vicende che accadono: bisogna farsi furbi, scaltri, saper riconoscere l'imbroglio e, se possibile, imparare a imbrogliare noi per primi. 
Ma questo modo di stare nel mondo non è secondo il Vangelo e chi vive in questo modo non comprenderà mai la logica del regno di Dio, che è la logica stessa di Dio. Il regno di Dio è in mezzo a noi, perché è Gesù stesso, è il modo in cui ci ha insegnato a vivere e ad amare. È lui, con le sue parole, con i suoi insegnamenti, con i suoi inviti a seguirlo anche laddove costa più fatica, anche dove il peso della croce sembra schiantarci a terra, anche dove nessuno lo riconosce. È un regno che comprende l'intera esistenza e per entrare a farne parte, già da oggi, da questo momento in cui leggiamo queste parole, occorre umiltà, semplicità, desiderio di farci provocare e trasformare la vita da Uno che ne sa molto più di noi. 

mercoledì 14 novembre 2012

UN "GRAZIE" PUO' SERVIRE A SDEBITARSI

Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!". Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse: "Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!". 

Lc 17, 11-19

Quando si è abituati a vivere le cose della nostra vita come fossero scontate, come se tutto debba essere dovuto, la prima parola a scomparire dal nostro vocabolario è la parola "grazie". La gratitudine, però, può esprimersi solo se ci si rende conto di aver ricevuto una grazia. Quell'unico Samaritano, tornato indietro per rendere gloria a Dio, cerca Gesù dopo essersi accorto di essere stato sanato: "Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro...". 
È vero che tutti sono stati guariti? Sì. 
È vero che tutti si sono accorti della loro guarigione? Sì. 
Allora qual è la differenza tra questo decimo lebbroso e gli altri nove? 
È la fede. 
La fede di quest'uomo, la fiducia totale che pone in Gesù, gli permette non solo di essere guarito, ma anche di essere salvato. La fede di quest'uomo gli permette, ancor prima di essere guarito, di guardare alla sua vita con uno sguardo umile, senza pretese, senza la pretesa di dover ricevere qualcosa a tutti i costi. 
Quante volte, invece, viviamo così la nostra vita!? Pretendiamo di essere riconosciuti, pretendiamo gratificazioni, pretendiamo che gli altri ci ringrazino per quanto facciamo per loro. Pretendiamo una ricompensa. Tante pretese senza, spesso, nemmeno un "grazie". 
Il bisogno di guarigione dal nostro egoismo, dal nostro egocentrismo, dal bisogno di essere qualcuno di importante per gli altri, può essere sanato solo con uno sguardo umile su se stessi, solo comprendendo e assumendo in noi l'atteggiamento del servo inutile, che serve per amore e non per interesse. 
Ecco che allora dire "grazie" non sarà più così difficile, perché ci sentiremo in debito nei confronti di ogni creatura: debito di vita e di amore.



martedì 13 novembre 2012

ESSERE INUTILI

Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare". 

Lc 17, 7-10

Non c'è merito nel servizio: chi serve non lo fa per una ricompensa, per essere riconosciuto come "bravo". Un servo, semplicemente, serve. Senza nessun'altra pretesa. 
Il disagio che proviamo nell'ascoltare quell'aggettivo -"inutile"- è frutto di un vizio che abbiamo: quello del voler essere riconosciuti a tutti i costi come importanti e indispensabili, senza ricordarci che quanto ci chiede di fare Gesù è una gara di stima reciproca, un primeggiare nel metterci a servizio degli altri. Fino a quando non ci entra nella testa che gli altri sono più importanti di noi, chiunque essi siano, non capiremo mai la bellezza di essere considerati inutili, cioè inutilizzabili o, meglio, inutilizzati, perché già "usati" per il servizio che potevamo prestare. 
La tentazione di rendere anche la nostra buona volontà, anche il nostro volontariato, un oggetto di vanto è qualcosa di assolutamente insopportabile agli occhi di Dio, il quale, invece, ama di amore incondizionato, senza condizioni. 

Ecco la perfetta letizia di un servo: l'assoluta libertà dal suo egocentrismo!




lunedì 5 novembre 2012

BUON APPETITO!

Disse poi a colui che l'aveva invitato: "Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anch'essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando dài un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti". 
Lc 14, 12-14




La questione del Vangelo di oggi sembra essere circoscritta ad una situazione particolare, quella degli inviti a pranzo/cena. Sembra surreale quello che sta dicendo Gesù: non offrire pasti, non dare cene, non organizzare momenti di festa per i tuoi amici o per persone che contano; invita tutti quelli che non inviterebbe nessuno, quelli che ad un primo momento scarteresti senza ombra di dubbio. 
La stranezza di questa indicazione di Gesù dice già che quello che ci vuole insegnare oggi va al di là della circostanza del pasto. Lo stile di vita del discepolo di Gesù per prima cosa assume in ogni istante la forma di una festa, di un invito a condividere gioia, amicizia, ospitalità, accoglienza. Un discepolo di Gesù è gioiso, cerca di essere amico di tutti, è ospitale, è accogliente con le sue azioni, con il suo modo di porsi, di fare, di parlare agli altri. La vita, così, diventa tutta una festa. Una festa alla quale occorre invitare soprattutto coloro che hanno bisogno di ciò che possiamo offrirgli: i ricchi, gli amici, i nostri fratelli, già godono sempre della nostra amicizia e della nostra bella compagnia. Gli ultimi, i poveri, gli ammalati, gli anziani, coloro che non hanno da ricambiare, quelli che faticano a credere, quelli che si sentono lontani o abbandonati da Dio, quelli che stanno sul muretto a fare baldoria o chiusi da qualche parte a cercare felicità in erbe esotiche, sono i più bisognosi dei nostri inviti, quelli più bisognosi di ricevere da noi un po' della nostra vita, una "fetta" di quella vita che ogni giorno vogliamo farci trasformare in meglio da Gesù. 
Ecco, allora, che diventiamo senza tanta fatica annunciatori delle buone parole di Gesù, del suo Vangelo: con la festa della nostra vita e, perché no, con il sederci allegramente a tavola. 

Buona vita! 
E buon appetito! 

giovedì 1 novembre 2012

INCOMINCIARE A FARE COME LORO

Sembra ormai una tradizione quella che caratterizza questi primi giorni di Novembre, tra vari festeggiamenti, festività e commemorazioni.Siamo forse abituati, e un po’ aspettiamo questi giorni autunnali, in cui generalmente ci si ferma, le scuole chiudono, il lavoro per molti è sospeso e in qualche modo siamo chiamati a fare festa. C’è chi fa festa provando a imitare un carnevale un po’ americano, chi partendo per qualche giorno di vacanza e chi, come molti cristiani, dedicando un po’ del loro tempo e delle loro preghiere per due categorie di persone, molto particolari: i santi e i morti. Dei nostri cari morti non ci occupiamo oggi, perché la festa di questo primo giorno di Novembre riguarda i santi. Anzi, Tutti i santi.

E quella di oggi è una festa, una solennità, che la Chiesa ci propone per fare principalmente tre cose: RINGRAZIARE, IMPARARE, IMITARE.

Oggi noi, con la messa che celebriamo per questa festa, facciamo una cosa che normalmente viviamo tutte le domeniche: ringraziamo Dio per un dono grande. Di domenica ringraziamo per il dono di Gesù, della vita di Gesù nel giorno della sua risurrezione, nel giorno del Signore. Nella Solennità di tutti i santi noi diciamo grazie a Dio perché ci ha donato, nel corso della storia, tantissime persone, uomini e donne, giovani e anziani, religiosi e genitori, in ogni parte del mondo, che ad un certo punto hanno deciso di fare sul serio con Gesù e con il suo Vangelo. A tutte queste persone, a tutti questi santi, ad un certo punto non bastava più “dire” di essere cristiani, non bastava più andare a messa tutte le domeniche, magari a volte un po’ controvoglia. A tutte queste persone il Vangelo di Gesù è piaciuto talmente tanto che hanno deciso di viverlo, cioè di metterlo in pratica, quasi alla lettera. Diciamo grazie a Dio, allora, perché ci ha mostrato con queste persone, che vivere il Vangelo è davvero possibile; che le parole di Gesù non sono soltanto una storiella che serve per consolarci dalle cose brutte della vita, ma qualcosa capace di renderla bella, buona e vera. Noi, oggi, ringraziamo Dio Padre e Tutti i santi proprio per questo motivo: perché ci dimostrano che credere in Gesù e nel suo Vangelo è possibile; ed è meglio farlo, che far finta di niente!

Ma con questa Eucaristia noi non vogliamo soltanto ringraziare e dire: "bene, grazie santi per aver vissuto una bella vita, adesso noi pensiamo alla nostra". No! Se ci limitiamo a ringraziare, a partecipare a questa Eucaristia, non cambierebbe forse niente. Dai santi occorre imparare il loro segreto, quel segreto che gli ha permesso di vivere una bella vita, una vita felice e di arrivare al giorno della loro morte senza paura e senza angoscia. E il loro segreto più grande, da sempre, è stato quello di prendere sul serio la Parola di Dio, il Vangelo, e di lasciarsi trasformare a poco a poco la vita dalle parole stesse di Gesù.
Noi oggi abbiamo ascoltato una delle pagine più belle e famose del Vangelo, quella delle Beatitudini. Gesù si trova di fronte a tantissima gente, molto diversa. La maggior parte di queste persone si trova a vivere situazioni di fatica, di difficoltà, di dolore, di tristezza. O forse semplicemente, come la maggior parte di noi, quella gente aveva qualche problema, che da sola non riusciva a risolvere, che senza una speranza non riusciva ad affrontare.
Gesù parte proprio da qui, dal vedere come sono messi gli uomini, per regalare a loro la speranza della felicità. Non l’illusione, non una bugia, ma la speranza di essere davvero felici, nonostante le prove e le fatiche di ogni giorno.
Beati i poveri in spirito, cioè i semplici;
beati quelli che piangono per qualche motivo;
beati i miti;
beati coloro che vogliono giustizia;
beati i puri di cuore, coloro che non guardano agli altri e alla vita con uno sguardo cattivo, non buono, non puro;
beati coloro che amano vivere nella pace, nella pace delle relazioni personali, senza farsi dividere da litigi e discussioni;
beati anche coloro che vengono perseguitati o causa della giustizia, cioè delle cose giuste da fare, oppure a causa del Vangelo, chi viene preso in giro perché si dice cristiano o chi, come in tante parti del mondo ancora oggi, solo perché cristiano, viene ucciso con la violenza.
I santi, quelle persone normali, quelle persone come noi che hanno deciso di vivere il vangelo al 100%, senza sconti, hanno vissuto già su questa terra con la speranza di questa pagina di Vangelo. Non sono stati illusi dalle parole di Gesù, ma le parole di Gesù hanno illuminato anche le zone più buie della loro vita e così, con questa luce in più hanno saputo andare avanti, nonostante tutto, anche di fronte a chi, in moltissimi casi, ha preferito togliere loro la vita uccidendoli proprio perché cristiani.

E infine, questa festa ci chiede di imitarli. È bello sentir parlare dei santi, magari ciascuno di noi ha il suo santo preferito, più o meno recente. È bello e commovente leggere la vita di qualche santo, conoscere ciò che ha fatto. Ogni tanto anche in tv possiamo vedere qualche film che ci parla della vita di qualcuno di loro.
È bello e giusto ricordarli e fare festa per loro, ma è ancora più bello e più giusto incominciare ad imitarli, incominciare a fare come loro, incominciare a capire che vivere il Vangelo non è qualcosa di troppo difficile, non è qualcosa di troppo lontano. Il Vangelo è possibile metterlo in pratica sempre, ad ogni età, qualsiasi cosa siamo capaci di fare o non fare. Perché è ciò che Gesù vuole e chiede a ciascuno di noi: di essere beati, cioè felici.
E chi di noi non vuole essere così? Chi non vuole essere davvero felice? E chi, davanti a Dio che mostra qual è la strada della felicità, non è disposto a percorrerla subito?

Ringraziare, imparare, imitare.
Sono queste le tre cose che vogliamo fare a partire da questa giornata.
Ri-partiamo da questa festa con la consapevolezza che da oggi, tra tutti questi santi che oggi festeggiamo, c’è un posto anche per noi.