venerdì 31 dicembre 2010

TE DEUM



Si canta il Te Deum per ringraziare. Si dice a Dio "grazie" per le cose che in questo anno sono successe, per le cose belle e meno belle, per le persone incontrate, per quelle conosciute, per le parole dette o ascoltate.
È giusto e bello farlo.

Per:

- mamma e papà: perché mi hanno amato e donato la vita;
le persone che mi hanno aiutato a crescere e voluto bene: nonni, zii e i miei tanti parenti;
- i miei educatori
: don Peppino, don Davide, don Angelo, perché ci sono e mi donano la loro vita, ogni giorno;
- la mia classe
: perché insieme stiamo camminando verso la meta, insieme gioiamo e tutti i giorni comprendiamo la bellezza, ma anche la fatica, di non tenere per noi la vita, ma di perderla per Lui;
- la pastorale vocazionale (Epv): don Alberto, don Tommaso, Barbara, i ragazzi della S. Martino e della vocAdo, perché con loro ho potuto gioire nel seminare parole che chiamano alla vita (vera!);
- don Ernesto e don Paolo
: con loro ho camminato in questi anni;
- don Giovanni e don David
: con loro cammino e camminerò nel futuro;
- tutto quello che in questi mesi significa per me la parola “Brugherio”: don Vittorino, don Alessandro, don Pietro e i tanti ragazzi incontrati e che sto incontrando, perché ora è questa la vigna in cui lavoro;
- i fratelli e le sorelle che silenziosamente e in ogni parte del mondo mi vogliono bene e mi sostengono;
- i ragazzi dell’OLR, dell’oratorio Olimpo Moneta di Tabiago, del S.Luigi di Baggio, S.Giovanni Bosco di Canzo;
- tutte le persone incontrate e conosciute evangelicamente, incontrate e conosciute a Seveso, che ancora vogliono farmi partecipe del loro cammino;
- Alessandro D’Avenia
e il suo romanzo: perché le grandi persone fanno tanto bene e lui è una grande persona;
- Josè Mourinho
e la squadra di calcio che ha vinto tutto quello che poteva vincere, l’Inter;
- chi
fa della musica il suo sogno, il suo progetto, il suo amore;
- i tanti libri letti che mi hanno aiutato a crescere;
- le chiacchierate, le telefonate, le lettere, le e-mail, gli sms ricevuti e inviati, perché mi hanno costretto a fare i conti non solo con il mio ombelico ma con la bellissima vita dei miei tanti amici;
- (quindi) i miei tanti amici: quelli di sempre e quelli nuovi, per la loro fedeltà e per il loro bisogno (reciproco) di stare insieme;
- le panch-ine
: quelle di legno vicino ai cimiteri, quelle di pietra sotto gli alberi e al sole, quelle di metallo in riva ai fiumi, perché senza le panch-ine è difficile diventare grandi;
- la musica e il mio pianoforte
: perché con loro continuo a sognare;
- tutti gli amici che non ci sono più sulla terra e che in Cielo continuano a vivere;
- il Diapason: uno strumento musicale e un posto dove poter dire quel po’ di bene che mi appartiene;
- il mio amico Johnny
: perché.. lui sa il perché..

..te Deum laudámus:
te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem,
omnis terra venerátur.


sabato 25 dicembre 2010

PUGNI di NATALE



Il Natale è un sacco di cose. Scriverò a riguardo.
Oggi, però, sarei ipocrita se mi mettessi a scrivere solo cose belle, solo cose dolci. Cose che la gente desidererebbe leggere o sentirsi dire per "riscoprire lo spirito del Natale" che si è perso col tempo.
Ho voglia di scrivere di alcuni "pugni" metaforico-natalizi che ho ricevuto in questa lunghissima giornata.

Il primo. Da un ragazzo, 17 anni, che in una chiacchierata ha voluto sfogarsi un po'.
A domanda risponde:
"Cosa ne dici di questo Natale?"
"che è una bestemmia come tutti gli altri.. solito.."

Il secondo. Da due clochard, questa mattina, al parcheggio della metro. Era l'ora di pranzo e uno di questi (più o meno avrà avuto la mia età) parlava con un ragazzo molto più giovane di funghi allucinogeni.
Era il loro pranzo di Natale.

Il terzo. Da un altro clochard. Mentre pago il parcheggio alla cassa automatica mi si avvicina. Ho già in mano qualche moneta di resto e allungo il braccio per dargliela.
Lui, guardando un po' schifato la mia mano, mi chiede:
"Scusa potresti darmi una sigaretta?"
Ritiro il braccio.
"Mi spiace, non fumo"
In questo caso il pugno gliel'ho tirato io.

Natale vuol dire fare i conti con la vita.
Buon Natale a tutti!

domenica 19 dicembre 2010

ASPETTARE VUOL DIRE SILENZIO



Aspettare vuol dire silenzio..



QUOTATION: “Il dramma degli uomini è non trovare mezz'ora di silenzio ogni giorno”, Blaise Pascal

giovedì 16 dicembre 2010

din, don, DAN!

Potrei scriverlo sul facile profilo di Facebook.
Ma scriverlo su Diapason per me, oltre che più semplice, è anche più vero.
Ci siamo dis-abituati a scrivere. Lo dicono in tanti, prof in testa. Colpa, anche, del libro delle facce. Almeno con msn si aveva l’illusione della possibilità di un blog, riempito il più delle volte da forme arcaiche di post facebookkiani, ma c’era la fatica del dover pubblicare qualcosa da creare. Ci scappava sempre qualche parola scritta. Ora non più. Non si scrive più nulla. Sembra sufficiente condividere, taggare o altre parole strane, entrate a far parte del nostro vocabolario.
È un peccato, un vero peccato. Di quelli che ci si dovrebbe andare a confessare!
La cosa che volevo scrivere è che oggi, la mia prof di lettere del liceo, La Prof, mi ha fatto ancora sognare.
Grazie, prof!

Tutto qui?
Si, tutto qui!

domenica 12 dicembre 2010

TOCCARE LA GIOIA



Tutto quello che ci circonda (persone, cose, ambienti..) noi lo possiamo comprendere a partire da alcune capacità che possediamo fin dalla nascita.
Possiamo vedere un tramonto, ascoltare una canzone, annusare un profumo (o una puzza!), gustare un torta al cioccolato, toccare una persona.
Di immagini, di suoni, di odori, di gusti ne abbiamo a decine, a centinaia riempiono le nostre giornate, a migliaia formano la nostra vita.
Ci sono poi i “tocchi”. Quelli sono un po’ più rari.
Il “tatto” è una sensazione “a km 0”, serve vicinanza perché si possa toccare o essere toccati. Bisogna stare vicini, o almeno abbastanza vicini.
Altrimenti non si tocca proprio nulla.
Ci serve un con-tatto.
Un contatto si ha quando di fronte a noi c’è qualcosa da toccare, qualcosa che già abbiamo visto, che già abbiamo ascoltato, probabilmente annusato.
Si contatta qualcuno quando si vuole fare esperienza di quel qualcuno:
con il cellulare, in chat, su Facebook…
Abbiamo bisogno di contattare, di contatto,
per conoscere qualcuno, per essergli vicino,
per volergli bene.

La gioia, per riempire una vita, ha bisogno di essere toccata. A volte baciata. Spesso mangiata o – meglio ancora – mangiata spesso!
Perché non c’è nulla da fare: o la vita la vuoi ricevere tutta intera da chi continuamente te la dona o non la ricevi per niente. Rimanendo un po’ così, “turbato”; come una città superata dai “grandi eventi” di un piccolo borgo, come un re geloso del suo stesso regno.
Pieni di invidia, di rabbia, di nero, di nulla.
Niente tocco, niente gioia, niente vita.

Questa attesa, che rapida conduce alla memoria di una luce con la quale vogliamo essere illuminati; che ci aiuta ad ascoltare con il cuore ogni sussulto di vita; che svegliandoci dal sonno della mediocrità e dell’in-differenza ci fa accorgere degli altri, ci insegna che il nostro desiderio dimora in questo: nel bisogno, vitale, di toccare la gioia!

sabato 11 dicembre 2010

PIZZA e DOLCETTI

L.(12anni) "Sto morendo!"
Andrea(23anni)"Di che cosa?"
L. "Di ingordità!"
D.(12anni) "Si dice ingordizia, babbo!"

Vita beata!

giovedì 9 dicembre 2010

LUCE


Ma la tua Parola mi rischiarerà
Luce non vedo ancora. C’è bisogno di una luce che illumini. Inutile illudersi di non averne bisogno.
Una luce che.. faccia luce! Me lo raccontano le persone, mentre camminiamo per strada. Omar, dal Senegal, 24 anni, 2 figli, venditore di libretti che nessuno compra. È musulmano.
Mi chiede: “A Natale dobbiamo sorridere tutti, vero?
Io sorrido. E lui aggiunge: “Bravo! Tanti auguri!”. E se ne va contento perché – io penso – è stato capace di farmi sorridere, anche senza vendermi nulla. Una luce, anche lui.
La vita è spesse volte piena di opacità, di ombre, di oscurità, di buio, di tenebra. Di nero. Tutto nero, niente luce.
La vita, però, non è solo questo. In pochi e semplice gesti, in un saluto regalato che augura “buona serata” a una e da una s-conosciuta signora sul treno, in un caffè offerto e bevuto insieme a un amico, in un abbraccio che dona e chiede pace: in tutto questo (e in molto altro) c’è luce. La luce delle piccole cose. La luce delle cose piccole e semplici. La luce delle cose semplici ed essenziali, invisibili agli occhi, ma non per questo inesistenti. La luce delle cose vere, della verità. La luce di quelle realtà che non s-cadono mai
nell’abitudine e non fanno mai cadere nell’aridità, ma regalano sempre acqua fresca, che toglie la sete;
donano sempre il gusto e la pienezza di una compagnia vera, che soddisfa anche brevi istanti di vita.
È una piccola luce quella che sto aspettando: per la mia vita, prossima a grandi scelte, e per quella di tanti fratelli e amici che di questa mia vita fanno parte.

Aspettare vuol dire – anche – volersi illuminati dalla Luce.
Maranatha!



QUOTATION: “Il giorno in cui esco dalla classe senza avere imparato qualcosa dai miei ragazzi è un giorno in cui non ho insegnato..non ho provocato la loro vita, che quindi è rimasta in-differente..” Alessandro

martedì 7 dicembre 2010

MOKA



Sarà anche buono il caffè che fanno al bar. Non lo metto in dubbio.
Anche quello che ultimamente viene chiamato il caffè "con le cialde".
A mio modesto parere la moka rimane la regina assoluta.
Fare il caffè con la moka non è fare il caffè "più in fretta". Come se il caffè fosse un precetto da assolvere: "devo prendere il caffè, lo faccio il più velocemente possibile..".
"Fare" il caffè, prepararlo, a casa, con la moka, è un vero e proprio rito.
C'è una preparazione. C'è l'acqua, l'aria, il fuoco e in qualche modo parte della terra.
C'è un'attesa, accanto al fuoco. Presso quella magia ogni senso viene investito.
Il profumo ti invita, il rumore, quel gorgheggiante suono di caffè pronto da bere, scalda ogni cosa. Il calore della bevanda amara addolcisce ogni risveglio, anche quelli più freddi, anche quelli che (speravi) potessero avvenire almeno cinque o sei ore dopo l'esserti coricato.
Non ci sarà la crem-ina dell'espresso: ma chissenefrega. Il gusto, per me, sa di casa, di affetto, di premura di chi ti vuole bene.

Ricordi di ieri e speranze per oggi: buona giornata a tutti!


domenica 5 dicembre 2010

ASPETTARE VUOL DIRE ASCOLTARE

Qualche spunto me lo ha dato il vivere questa fresca domenica, una lunga telefonata con un amico, l'ascoltare una grande persona e, come spesso accade, lasciandomi insegnare dai "piccoli".
Ripensando alla lunga settimana, passata ad ascoltare.

1. Ascolto risposte all’orecchio
dAle “Se ho una cosa importantissima da dire cosa devo fare?
M. (9 anni) “Vai in televisione!
S. (9 anni) “No! Perché i bambini poveri non hanno la televisione!

Santa sapienza, quella dei bambini!
Però è vero: se ho una cosa importante da dire – ultimamente – occorre farsi un po’ scaltri. Se dovessimo fare tutti un po’ come Giovanni (il battezzatore), che andava nel deserto ad urlare le cose importanti, sicuramente pochi ci ascolterebbero. Se ho una cosa importante, come mi suggeriva all’orecchio questa mattina M., bisogna che vada in televisione, che mi faccia vedere, che salga su un “palcoscenico” e dia il mio spettacolo. Oppure mi serve un microfono!

2. Ascolto parole che scuotono
In realtà, leggendo bene il brano di Vangelo, che trasporta il mondo romano già (!) a metà dell’Avvento [ma non era appena iniziato?], si nota come non siano certo parole dolci o smielate quelle del cugino di secondo grado di Nostro Signore.
Razza di vipere” è un insulto bell’e buono, della serie “uno scossone non fa mai male”, soprattutto in questi tempi in cui occhi e orecchie son già pieni di immagini e caotici suoni e quello che ci serve è, forse, tastare con mano la verità delle cose. La classica e tradizionale terapia d’urto può ancora – deve ancora – fare miracoli!

3. Ascolto per la prima volta
da queste pietre Dio può suscitare figli
È vero! È vero! È vero!
In ogni istante c’è una possibilità da sfruttare per “suscitare figli”. Oserei dire farli ri-nascere, nel senso di ri-cordare (portare nuovamente al loro cuore, vagamente simile ad ac-cordare) loro la possibilità di una vita piena. Una vita da figli. Capita per strada. Capita sulla metro. Capita anche su un tavol-ino, di fronte a una cioccolata e di fianco a qualcuno incontrato per la prima volta nella vita. Può capitare davvero “in ogni occasione”.

4. Ascolto parole che diventano cose
Serve un microfono per chi non ha più voce, per chi non riesce a parlare, per chi non riesce a capire cosa sia giusto fare. Chi non sorride, chi piange, chi muore. Microfono è solo un piccolo suono del cuore. Quel di più che ti fa ascoltare, sentire (cioè toccare) ciò che per te è il meglio. Un servizio. È servire!

Mi basta sapere, alla fine di questa settimana, di essere stato un po’ un microfono: capace di far risuonare la sua Parola (che è passata, in tanti e diversi modi, ma è passata!) e di sussurrare a chi ne aveva bisogno: “Tu sei il meglio!”.

Aspettare vuol dire ascoltare!

venerdì 3 dicembre 2010

INDIA



"..allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli."

Francesco Saverio

martedì 30 novembre 2010

"VENITE DIETRO A ME"



ἀνήρ, uomo, Andrea.
Sempre chiamato ad essere ciò che il mio nome dice di me.
venite DIETRO a me".. Eccomi!!

domenica 28 novembre 2010

ASPETTARE VUOL DIRE ACCORGERSI

Ancora una volta le sue parole mi fanno riflettere su alcune coincidenze – casualità.

È ormai tempo di svegliarvi dal sonno.. nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e…

..e non si accorsero di nulla!

Nella romanica terra dove oramai da mesi mi trovo a festeggiare il giorno più bello della settimana, oggi è cominciato un nuovo tempo. Un canto in meno, una candela in più, meno verde e più viola (che, tutto sommato, rimane un bel colore!). È il tempo chiamato Avvento.
Attesa.
Quindi attendiamo ovvero (!) aspettiamo.
Aspettare è un’esperienza tanto particolare quanto necessaria per crescere e diventare veri.
Chi mi conosce – in carne ed ossa – sa che, nonostante tenga l’orologio un’ora avanti, non sono mai puntuale o in anticipo. Mamma, papà e una sfilza di altre persone importanti per la mia vita me lo ripetono spesso: “Sei sempre in ritardo!”. Ma non è questa l’attesa di cui sto parlando.
Se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”. Ovvio!
Mica tanto! (la mia solidarietà a chi, ultimamente, ha ricevuto visite spiacevoli in casa propria).
Se qualcuno o qualcosa ha intenzione di entrare in casa nostra o nella nostra vita e pensa di fare da padrone e noi conoscessimo la sua poco buona intenzione, forse, ci sveglieremmo, staremmo attenti, vigileremmo. Perderemmo meno tempo (cioè lo ridurremmo all’essenziale, alle cose importanti), canteremmo un canto in meno, accenderemmo una luce in più. Tutto di noi direbbe: “sto aspettando qualcuno!”.
Aspettare è un’esperienza che trasforma il vivere di tutti i giorni. Aspettare un amico, la persona che si ama, un figlio, una risposta, la possibilità di vedere un po’ di luce in una vita un po’ adombrata cambia il modo di vivere i nostri minuti. Qualcosa dentro si muove, come una molla che si carica, pronta a scattare.
Quando si attende un Importante (una realtà importante), personalmente, mi scappa anche la fame!
Ricominciare ad aspettare qualcosa di importante penso sia la chiave di volta per tante situazioni un po’ stagnanti, per tante vite un po’ insoddisfatte. Ciò che aspettiamo noi cristiani non è una risposta certa, logicamente dimostrabile. Non è una soluzione ad un enigma.
Aspettiamo una persona, un bambino. Aspettiamo la nascita di un uomo che ha da dirci qualche parola, magari anche una sola, magari La parola per la nostra vita.
C’è ancora tempo per non arrivare al Natale soltanto con il pensiero dei regali, del cenone a base di pesce o del pranzo con la solita (povera) oca arrosto!

L’aspettare non è più uno stare lì, in attesa che quel ritardatario cronico arrivi!
Aspettare può diventare il nostro star pronti, con gli occhi aperti, puliti!
Aspettare vuol dire stare svegli, per non fare entrare nella nostra vita “ladri” che ce la rubino!

Aspettare vuol dire accorgersi!



QUOTATION: “Svegliaaa-a!”, Pietro C. domenica 28 novembre ore 11.27

sabato 27 novembre 2010

PIANO PIANO

La musica è una cosa bella.
Questo è un giudizio. Questo – almeno per me – è un dato di fatto. Non solo un’opinione, ma anche una certezza. Non avrei speso, né lo farei tutt’ora, tanto tempo per ascoltarla, per capirla, per conoscerla.
Per suonarla.
La musica è sempre musica. Un conto è suonarla (e poterlo fare bene). Un conto è ascoltarla.
Tutti ascoltano musica, musiche. Tutti ascoltano suoni, rumori, anche melodie, armonizzazioni, polifonie (cioè più suoni messi insieme).
Molti suonano musica. Da parecchio il “mestiere” del musicista non è più soltanto un lavoro per pochi stipendiati. Tanti sanno produrre suoni con uno strumento: una chitarra, un flauto dolce, un’armonica a bocca, un pianoforte..
C’è un po’ un bisogno nel farlo. C’è soddisfazione nel farlo: suonare, oggi, dice qualcosa della persona che suona. Il produrre suoni, il “crearli”, comunica necessariamente qualche caratteristica del produttore di quei suoni, del “creatore” di quelle note.
Anche l’artista più stravagante ha una bellezza da comunicare in quelle note che escono dalle sue mani. Anche suonando poche note, anche suonando cose semplici, che a un orecchio aristocratico possono risultare banali.
Anche se sono poco allenate, anche se non possiedono una robusta tecnica, le mani dei musicisti sono luoghi di interessante rivelazione. Del Bello, quindi, anche un po’ di Dio!

E con questo penso di aver apprezzato adeguatamente (almeno per oggi) quell’arte che tanto fa star bene grandi persone.



QUOTATION: “Se fosse venuto Dio e mi avesse chiesto se volevo essere quel gabbiano, avrei risposto di sì” da Io e te, Niccolò Ammaniti

giovedì 25 novembre 2010

SPECIFICHIAMO il PRINCIPIO



La profezia - di loro stessi - portata all’eccesso.
E il (dis-)valore diventa audience.
Ma se lo dice Saviano…

Ragione specifica: “c’è chi ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva di percezione del mondo esterno.

E c’è pure chi ritiene che “la vita è bella”. Si chiama Roberto anche lui, no?

Ragione di principio: “un programma di racconti, come il nostro, non ha la pretesa - sottolineano ancora - né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni.


Io, il lunedì sera, voglio continuare a tenere la TV spenta.
Questione di opinioni..
..o forse di principio!!


domenica 21 novembre 2010

OLTRE LO SPETTACOLO LA VITA

Ci sono più modi di assistere a uno spettacolo.
C’è lo spettacolo desiderato. Possiamo desiderare da tanto tempo di partecipare a una rappresentazione teatrale, a un concerto, all’uscita in sala dell’ultimo episodio di quella saga. Il nostro assistere è pieno di trepidazione, ci si prepara per tempo: non vediamo l’ora che finisca la giornata per andare a casa, cenare velocemente, metterci d’accordo con l’amico o l’amica che ci accompagnerà e partire veloci verso il luogo del nostro appuntamento. Pur essendo spettatori, ci sentiamo tremendamente protagonisti di quella serata.
C’è lo spettacolo proposto da altri. Non si conosce più di tanto quello che si andrà a vedere, chi si andrà ad ascoltare. Il nostro atteggiamento può essere curioso o meno. C’è comunque un po’ di interesse, una curiosità. Senza grande entusiasmo, ma almeno c’è qualcosa di diverso da fare.
C’è poi lo spettacolo obbligato. È la partecipazione di chi è obbligato ad accompagnare qualcuno. È noioso farlo. Si diventa nervosi se non si trova il posteggio per l’auto (“ma chi me lo ha fatto fare..?”), la coda alla biglietteria aumenta l’arrabbiatura, il tizio dietro la nostra poltrona continua a sbattere la gamba contro il nostro schienale.. Era meglio fare altro, sicuramente!
Una condanna a morte nell’antichità (ma purtroppo anche ai nostri giorni) era uno spettacolo, uno show, qualcosa da mostrare, da andare a vedere. Quel giorno fuori dalle mura della grande città di Gerusalemme bisognava fare in fretta. C’erano tre esecuzioni, ma anche la festa di Pasqua da celebrare e quei tre farabutti andavano sistemati velocemente.
Gli spettatori a questa terribile scena appartengono un po’ alle tre tipologie.
Ci sono i protagonisti, gli accusatori, i capi, le guardie, coloro che hanno voluto far fuori Gesù. Sono tremendamente convinti di avere ragione: questo Gesù di Nazareth, oltre ad essere un gran bestemmiatore (si era definito “Figlio di Dio”) era anche un imbroglione, un incantatore: ha salvato tanti perché non dovrebbe salvare se stesso?
Se è il Figlio di Dio.. Mi risuonano nella mente le stesse provocazioni che il tentatore, il Diavolo, rivolge a Gesù nel deserto: se sei Figlio di Dio… . A questi, diavolo compreso, non basta la parola di Gesù. Non bastano i segni che ha compiuto. Hanno in mente un’idea di Dio, un’idea di Messia, un idea di fede. Non sono certo disposti a cambiarla, nemmeno di fronte a un innocente che è messo a morte.
Ci sono i curiosi. C’è il popolo che “stava a vedere”, incuriosito, sì, ma anche un po’ intimorito. Di questi nessuno parla. Molti lo avevano accolto qualche giorno prima, sventolando palme e ulivi, cantando: “Osanna al figlio di David!”. Quell’accoglienza era un’accoglienza da re. Ma ora, quel re, stava facendo una brutta fine. Che delusione! Ma quale re? Forse avevano ragione i capi, forse avevano ragione i potenti, le guardie romane, i sapienti del tempo: “Uno così non può essere re!”.
Ci sono poi gli obbligati: i due ladroni. Quello a destra e quello a sinistra di Gesù. Uno dei due è arrabbiato. Arrabbiato con se stesso e con la sua vita, che sta drammaticamente volgendo al termine. Arrabbiato con chi lo ha condannato, con chi lo ha crocefisso. Arrabbiato anche con Gesù, nonostante da colpevole condivida con Lui la stessa sorte, lo stesso dolore. Il dolore suscita anche rabbia, che può essere riversata contro Dio. Ma Dio sceglie di provare lo stesso dolore di ogni uomo. E questo, l’altro ladrone, quello “buono”, lo capisce. “Gesù, ricordati di me”. Solo quattro parole. Non una pretesa, ma una richiesta sincera che parte dal cuore di un uomo che ha capito il suo errore, si è pentito e crede davvero che il Nazareno sia quel figlio di David che in tanti, a parole, avevano acclamato. Gesù ha ancora una parola di vita per quel ladrone beato. “Oggi stesso sarai con me”. Gesù ha sempre una parola di vita anche per tutti noi.
Non per magia, non per forza o violenza Lui è re. Ma perché, donandoci la vita, ci insegna l’amore vero.


NoiBrugherio, sabato 20 novembre 2010

mercoledì 17 novembre 2010

FATTOR-INO



Sarà anche una coincidenza, ma oggi tutto mi parla di poesia.
E quando tutto parla di poesia mi vien voglia di cercare tante rime, di tirar fuori dalla libreria versi e strofe, che so quasi a memoria o, semplicemente, so che mi avevano toccato il cuore leggendoli la prima volta.
Oggi volevo ringraziare una persona: il fattorino che mi ha – finalmente – consegnato un pacco pieno di libri. Libri che parlano di vite, di giovani, di musica, di poesia..
Penso che siano i miei libri preferiti.
Quelli che parlano di vita e di vite.
Quelli che parlano della vita e delle vite dei giovani, come me o come altri.
Quelli che parlano di musica, perché la musica non è solo pentagramma o improvvisazione. Musica è un pianeta a parte, una vita a parte, per la quale occorrerebbero 24 ore in più al giorno..
Quelli che parlano di poesia: di poesia e sulla poesia.

Spegnere la tv (e il computer) in questi giorni è forse la cosa migliore da fare. Per non lasciarsi strattonare da una parte o dall’altra (perché alla fine lo stanno facendo sia i “buoni” che i “mangiamorte”!!).
Allora..
..che sia poesia!
Che sia musica!
Che sia vita!




QUOTATION: A."Ma non hai portato una valigia?" J."Mi basta lo zaino, il pane e la poesia"

lunedì 15 novembre 2010

UOVA



smsMamma: "Domani sera mangi la frittata?"

smsAndrea: "Certo! Ma non la fai da 10 anni, sei ancora capace??"

smsMamma: "Nn ti preoccupà ! Intanto deve andare tutto giù!"


Alle uova sono allergico, ma domani sera farò un'eccezione..

domenica 14 novembre 2010

COERENTI, NONOSTANTE TUTTO



Se c’è un comportamento che ai nostri giorni sicuramente è degno di nota, questo è di certo il comportamento di una persona coerente. Tuttavia la coerenza non è mai una virtù assoluta. Non lo è, per esempio, se la si vive tra il pensare e l’agire male. Essere coerenti vuol dire far “aderire” ciò che si pensa a ciò che si fa. Allora le azioni non smentiscono mai le parole dette. Quanta rabbia ci viene quando grandi promesse, bei discorsi, convincenti comizi non trovano poi riscontro nella vita reale! L’incoerente, il ciarlatano, l’ipocrita (il “fariseo”) danno fastidio, soprattutto ai giovani, soprattutto a chi cerca di dare fiducia agli altri. D’altra parte, però, quanta stima abbiamo nei confronti di persone coerenti! Una persona coerente la si apprezza, la si ammira, si cerca di imitarla. Anche a costo di qualche fatica, anche a costo di qualche sacrificio.
Ascoltando le parole di Gesù, tremendamente serie e drammatiche, mi viene da pensare subito all’importanza, per noi cristiani, di vivere la nostra fede in maniera coerente, di vivere bene ogni occasione che ci è data di dare testimonianza. Nonostante tutto. Proprio così: nonostante tutto! In quel “tutto” Gesù sembra metterci ogni possibile prova, ogni possibile dolore, ogni possibile male: la nostra fede può essere messa alla prova da un male non imputabile all’uomo (terremoti, carestie, malattie); da un male che proviene dalle scelte degli uomini (guerre, rivoluzioni); da un male che arriva a colpire anche gli affetti più cari: delusioni e tradimenti da parte di genitori, fratelli, parenti, amici. Da un male che arriva a versare addirittura sangue innocente. Di fronte a tanto male, spesso letto sui giornali o raccontato in maniera cruda alla tv, ci poniamo tante domande, alle quali abbiamo oggettivamente poche risposte convincenti. Ci si chiede perché Dio permetta tutto questo, perché non intervenga a sistemare qualche situazione “un po’ troppo” negativa. Me lo sono chiesto anche io leggendo questo brano del Vangelo di Luca, cercando di capire cosa veramente conta, cercando di capire cioè, cosa ci chiede di fare Gesù.
Mi sembra chiaro: Gesù ci chiede di non perdere la speranza, di non smettere di avere fiducia in Lui, di non avere paura! La paura è spesso la prima causa dell’incoerenza e quindi di una cattiva testimonianza.
I discepoli di Gesù, i cristiani, sanno che l’ultima parola non è mai del male, non è mai della morte, ma sempre della vita, sempre dell’amore. I discepoli di Gesù, guardando a Lui, credono nella sua Risurrezione, sanno che dopo la morte c’è la vita donata da Dio, la vita vera, la vita eterna. I discepoli di Gesù sanno che solo con la perseveranza, che nasce dal fidarsi di Lui, è possibile salvare la propria vita. A Dio, che Gesù ci insegna a chiamare Padre, non interessa salvare le pietre delle grandi costruzioni, delle quali non rimarrà nulla, ma la vita dei suoi figli, la vita di ciascuno di noi. Per questo nemmeno un capello del nostro capo andrà perduto: perché, nonostante tutto il male che subiamo, a cui assistiamo o di cui siamo responsabili, Dio continua ad amarci, fino alla fine, fino a dare, Lui, la vita al nostro posto.

NoiBrugherio, sabato 13 novembre 2010

venerdì 12 novembre 2010

FA#, mi, DO#..

Tu che sei nei miei giorni
Certezza, Emozione.
Nell'incanto di tutti i silenzi
che gridano Vita
sei il Canto che libera Gioia,
sei il Rifugio, la Passione.

Con Speranza e Devozione
io Ti vado a celebrare
come un prete sull'altare
io Ti voglio celebrare
come un prete sull'altare
questa notte ancora..


freely from Mentre dormi, Max Gazzè

mercoledì 10 novembre 2010

NOSTALGIE



Si parla di nostalgie. Si argomenta a nostalgie. Si piange per nostalgie.
Del passato.
Al presente e al futuro la nostalgia fa problema. Sciocca se accompagna i minuti che vivi, il tuo oggi, surreale se pensata per domani.
Si può scegliere di non averla in un caso o nell’altro.

Uno di questi giorni ho pranzato insieme al Piccolo Principe – meglio - con una sua idea: la nostalgia del mare ampio ed infinito, necessaria per la costruzione della nave.
Più importante della legna, più importante degli attrezzi per fabbricarla.
Più geniale di progetti da disegnare, più efficace degli ordini da dare ai manovali.
Suscitare nell’altro la sana nostalgia del mare lo invoglia a costruire al meglio la barca per navigare.
Metafora? Beh, mi pare ovvio!

Se un giorno dovessi diventare disoccupato (ipotesi al momento abbastanza improbabile), mi piacerebbe diventare un nostalgizzatore.
Di cose belle, di cose buone, di cose vere.
Per rimanere nell’ambito, diciamo..



QUOTATION: “la fami=
glia è la cosa più bella!
" Carlotta, disegnando ciò che ama. In un cuore.

domenica 7 novembre 2010

COCCINELLA




Ci sono alcune cose che in una bella giornata come questa (trascurando la pioggia) proprio non ci stanno.
Come strumenti un po’ scordati che nell’organico fanno stonare tutta l’orchestra.
Note stonate, appunto!
Diapason, tra sé, sente il dovere di ri-dare il La440.

1. Dall’autoradio della mia super micracar questa sera è spuntata una radio-pubblicità. Come sottofondo il pathos delle pubblicità progresso. Le parole di introduzione parlavano di bisogni reali, di problemi di paesi del Sud del mondo. Tutto un climax che muoveva a compassione l’ascoltatore e poi…
il messaggio pubblicitario di un’offerta per villaggi turistici!
2. Guido, guido, guido… sono sempre in macchina e davanti a me c’è una monovolume.
Le luci all’interno dell’abitacolo sono accese. I bambini (due, tre, quattro..) sono in piedi. Saltano, si tuffano. Addirittura uno si mette dritto nel bagagliaio e mi saluta…
Ho pregato il cielo perché chi guidava non si trovasse nel bisogno di frenare!
3. Sempre in auto, sempre l’autoradio mi dice i risultati della serie A.
Mi stupisco: quante nuove squadre dalla serie B sono passate in A! Però, povere, perdono quasi tutte..
..QUASI, appunto!!

Spengo l’autoradio.
Meglio il suono, umile e simpatico, del mio nipponico motore.

p.s.: cosa c’entra la coccinella?
Ogni cosa è un colore”.
La coccinella, a parte rare e letargose eccezioni, è due-colori.
Due brutti colori.




QUOTATION:
DOMANDA “Come si chiamano i sette nani?
RISPOSTA “Mignolo, ...
Cristina, innocente e convinta.

martedì 2 novembre 2010

ON THE ROAD



C’era, un po’ di tempo fa, un articolo di giornale che parlava di una tragedia. Qualcuno aveva perso la vita durante un viaggio in montagna. Un viaggio estremo.
A lato di questo articolo un approfondimento: la riflessione di un alpinista, un uomo che ha fatto dell’estremo camminare in montagna uno degli oggetti di pensiero sulla vita.
Mauro Corona così scriveva:

Il viaggio estremo è spesso una fuga da se stessi… Per provare paura, una necessità che nasce da una sofferenza… Il vero eroe è quello che trova il proprio luogo estremo dentro se stesso” .

Ho ripescato subito questo articolo dopo che l’altra sera, in radio, ho sentito parlare un giovane uomo intenzionato a partire per un viaggio in solitaria, senza comunicare la meta a nessuno, senza preoccuparsi di dove andare, con il solo biglietto di andata e di ritorno.
Il bisogno di partire per viaggiare, visitare, conoscere, incontrare, penso sia innato in ogni uomo. Basta un rumore o una dolce musica a ri-chiamare la curiosità e a far muovere. È un elemento che accomuna tutti. E il viaggiare è bello se fatto insieme.
Viaggiare da soli non è bello, non è comodo, non è funzionale.

Perché allora a volte nasce il bisogno di un viaggio estremo, che permette alla sola solitudine di essere la compagna di cammino?
Hanno la stessa meta i viaggi fatti per turismo, per istruzione, per lavoro, per fede… e quelli fatti con se stessi alla ricerca di non si sa che cosa?

Uomo: vagabondo, turista, pellegrino… e poi?


QUOTATION: “E ti vengo a cercare perché sto bene con te, perché ho bisogno della tua presenza.” Franco Battiato – E ti vengo a cercare

sabato 30 ottobre 2010

SAPIENZA è un VOLTO



Testo dell'omelia del vescovo Mario, in occasione della mia (nostra) istituzione ad accoliti.

"La nostra sapienza è la manifestazione del volto del Signore

1. Basta con la conoscenza innocua. La conoscenza che viene da Dio è come una ferita.
“Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra perché hai rivelato queste cose ai piccoli”. L’esultanza di Gesù nel contemplare i percorsi sorprendenti della rivelazione del Padre ci risveglia dal torpore e dichiara: "Basta con la conoscenza innocua!".
Ci sono di quelli che si illudono che la conoscenza sia innocua, un dato da registrare. Ci sono di quelli che si abituano a pensare che si può leggere, guardare, ascoltare qualsiasi cosa e archiviare tutto senza esserne segnati. Chi pensa che la conoscenza sia innocua si immagina che si può ricevere una notizia, una immagine come un file che si registra nella memoria di un computer: il computer archivia il file con la parola più santa insieme con il file con la parola più volgare e blasfema, nella totale indifferenza; come si colloca un libro in uno scaffale: si possono collocare accanto i libri più geniali e quelli più stupidi: lo scaffale ospita qualsiasi libro nella totale indifferenza. La conoscenza innocua frantuma il desiderio e lo banalizza in capricci contraddittori, la conoscenza innocua rende raccomandabile il politeismo, rende precaria e provvisoria ogni convinzione, rende revocabile ogni decisione. A voi, invece, a noi tutti, è donata una sapienza che è come una ferita, che penetra fino nelle profondità inesplorate del cuore, della mente, fin là dove sgorga il desiderio, dove prende forma il sentire. È una ferita che fa soffrire: quando sei ferito e il dolore è acuto e insistente e ti tormenta, allora tutto diventa indifferente, eccetto quello che può alleviare il dolore. Allora c’è un solo desiderio, una sola attesa, un solo pensiero: che la ferita sia guarita.
Ecco chi riceve l’Eucaristia è come chi riceve una ferita: l’Eucaristia è quel modo di rivelarsi del mistero di Dio che ti pretende di raggiungerti fino là dove inizia la tua fame e la tua sete, fin là dove si nasconde la piccolezza di cui ti vergogni, la povertà per cui ti deprimi, il peso greve dei peccati che ti inducono a perdere la stima di te stesso. Chi riceve l’Eucaristia riceve come una ferita che incide nella carne viva e rende insopportabile ogni contatto che non sia di un balsamo che guarisce, rende intollerabile ogni movimento che non sia verso colui che può salvare, rende inopportuna ogni parola che non sia per invocare: “Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è Signore” e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo”. Voi che ricevete l’Eucaristia e ne diventate ministri non potete che essere uomini che portano dentro una ferita: si veda dunque che niente altro cercate che d’essere sanati.

2. Basta con la sapienza rassicurante. La conoscenza che viene da Dio è come una conformazione.
Basta con la sapienza rassicurante. La sapienza rassicurante è quella dei dotti e dei sapienti ai quali è nascosta la verità di Dio e il suo mistero. Perché i dotti e i sapienti sanno già tutto e ricevono ogni parola, decifrano ogni messaggio, traducono in discorso ogni intuizione, con la presunzione di essere rassicurati. I dotti e si sapienti sono quelli che si illudono che il roveto ardente possa ridursi all’allegro fuocherello del camino: si sa come si accende e si sa quando si spegne. Intanto si passa la serata a chiacchierare di niente. I dotti e sapienti leggono e studiano con l’unico scopo di cercare citazioni per darsi ragione.
Chi riceve l’Eucaristia ed entra nel mistero della Pasqua del Signore e intravede il volto del Signore è attratto alla conformazione: non è tanto rassicurante la rivelazione di Dio perché non ti dà ragione, ma ti chiama e ti convince e ti attira a conformarti al mistero che ti ospita come la legna si conforma al fuoco. Diventa fuoco.

3. Basta con la sapienza opzionale. La conoscenza che viene da Dio è luce che ti trasforma in luce.
Basta con la sapienza opzionale. La sapienza opzionale è quella che si presenta come un’opinione che non vuole disturbare nessuno, come un prodotto offerto nell’immenso mercato, disponibile all’acquisto, ma anche a restare in magazzino. I mercanti della sapienza opzionale sono mercanti, badano ai loro affari, piuttosto che al bene dei clienti. Hanno un prodotto da vendere. E se il cliente non acquista non si rammaricano per il cliente, ma per il mancato guadagno. I mercanti della sapienza opzionale sono rispettosi, tolleranti, politicamente corretti, non vogliono urtare nessuno parlando male degli altri prodotti già acquistati dal cliente. Solo che vorrebbero piazzare anche la loro merce.
Chi riceve l’Eucaristia e ne diventa ministro non riceve una sapienza opzionale, un prodotto fra tanti in cerca di clienti nel grande mercato. Riceve piuttosto una sete, come un'eco del grido di Gesù: “ho sete”. Chi diventa ministro dell’Eucaristia non si cura del suo successo e del suo guadagno, gli sta a cuore di non lasciare andare via nessuno senza speranza. L’Eucaristia è consegnata nelle mani dei ministri perché sia distribuita e tutti abbiano la vita. Il ministro dell’Eucaristia conosce lo zelo che nasce dalla sete di Gesù e offre la sapienza ricevuta con lo stile di Gesù: non si impone con l’invadenza, ma non si rassegna all’indifferenza verso nessuno; non costringe nessuno, ma chiama ciascuno per nome; non pretende pubblici riconoscimenti, ma non conosce la timidezza che induce a nascondersi e a tacere.
Chi riceve l’Eucaristia e ne diventa ministro è come chi riceve una luce e diventa luce: continua ad ardere perché nessuno cammini nel buio, continua a risplendere anche a prezzo di consumarsi.

Basta con la sapienza innocua, voi ricevete una ferita.
Basta con la sapienza rassicurante, voi siete chiamati a conversione e conformazione.
Basta con la sapienza opzionale, voi siete inviati fino agli estremi confini della terra perché risplenda la vostra luce di fronte agli uomini."

mons. Mario Enrico Delpini, sabato 7 novembre 2009, Venegono inferiore.



QUOTATION: "Breve, chiaro, incisivo" definizione aristidea di "Esemplare"

giovedì 28 ottobre 2010

ARIA in CIELO

Respirare a pieni polmoni, aria nuova, aria pulita. Aria non intossicata da cose che non c’entrano.
Non abbiamo bisogno di respirare le cose che non c’entrano!
Aria fresca, aria bianca. Azzurra..
Io l’aria me la immagino azzurra. Forse perché ho imparato a pensare all’aria disegnando il cielo, come tutti i bambini del mondo, fissandolo come una sottile riga azzurra sul bordo alto del foglio.
Forse perché per i bambini le cose belle, le cose grandi, anche quelle che non si capiscono fino in fondo, ma mettono tanta curiosità, arrivano tutte dal cielo.
Forse anche l’aria, quella che respiriamo, quella che ci tiene in vita, viene proprio da lassù, dal cielo.
Quanto abbiamo bisogno di aria!

Quanto abbiamo bisogno di Cielo!!



p.s.: bamb-ini, i grandi sanno che l’aria, quella che respiriamo, quella che ci tiene in vita, arriva dalle piante. Ma anche le piante, vivendo verso il cielo, la pensano come noi!!


QUOTATION: “Sa quelli che dicono che non si può vivere senza amore?! L'ossigeno è più importante!”, Gregorio Casa (è un po’ cinica, lo ammetto, ma da lui l’accettiamo).

lunedì 25 ottobre 2010

BEATA, cioè FELICE!

C’è una bellezza che mi attrae, un profumo, un colore, un fiore…
C’è un fiore in più in quello straordinario luogo che è il giardino di Dio, al quale, in un modo o nell’altro, tutti siamo diretti, perché aspettati. Quel fiore è una viola: bella, perché attratta dalla Bellezza stessa!



Si, ma, perché è beata? Cosa ha fatto??

È la domanda più frequente che sento quando parlo di lei alla gente. Quando dico la mia contentezza nel saperla beata, cioè Felice perché si trova al cospetto notevole di Dio, in tanti si chiedono cosa abbia fatto di così straordinario per essere riconosciuta come una figura importante, per essere ricordata addirittura sul calendario (14 gennaio).
Dopo aver dato la risposta mi chiedo: non basta essere se stessi per essere persone straordinarie? Non basta accettare quello che si è (cosa per molti non facile, lo so) per dirsi, quando ci si guarda allo specchio, quanto è bello vivere la vita che ci è stata donata?
Non bastano le cose semplici, nascoste, anonime?
Pare di no…
Occorre sempre un po’ di pubblicità, di esagerazione, di eroismo se si vuole essere considerati in questo mondo. Pena poi, nel caso non ci si riesca, il piangere - realmente o virtualmente - e chiedersi il perché.
Non so se sia un’eroe (il femminile di eroe non mi convince molto, preferisco l’aiuto dell’amica apostrofo) una donna, una suora, che fa della sua vita un impegno per la dolcezza, un viaggio verso la Bellezza, che è la piena umanità di Gesù. Per qualcuno possono essere solo parole.
Per lei, Alfonsa, è la beatitudine, la felicità, la Vita!

Maestro, cosa devo fare per avere la vita?


QUOTATION: “qualunque cosa tu faccia quel seme crescerà e diventerà un pesco. Magari tu desideri un melo o un arancio, ma otterrai un pesco” maestro Oogway, Kung-Fu Panda

giovedì 14 ottobre 2010

MANI



Lo sussurro in silenzio, per non farlo sentire a nessuno.
Mi dispiacerebbe che qualcuno capisse che l’ho notata: la bellezza delle mani della gente.
Non parlo di mani curate o di unghie smaltate, ma delle mani delle persone comuni.
Le normali mani di uomini e donne che vivono nelle nostre città, nel nostro mondo.

C’è un momento, tutto particolare, in cui vedo le mani di uomini e donne di ogni tipo: è il momento della comunione. Quando bambini, ragazzi, giovani, adulti, genitori, figli, innamorati, anziani, delusi, sofferenti, pensierosi, sognatori, lavoratori o disoccupati, contenti o seri, insoddisfatti o felici cercano ,con un gesto di mani, quella vita donata, cioè l’amore, in quel frammento di pane.
Ho lo grazia, la fortuna, di poter dare a queste mani quello che desiderano, non come un regalo, che non sarebbe da parte mia, ma come consegna: è un pezzo di pane, è un pezzo di carne, parte della vita di un Altro, la vita donata del Maestro.
Lo sussurro in silenzio. Forse pochi mi possono capire e sentire le stesse cose che sento nel riempire quelle mani dell’amore vero. Mani che acquistano immediatamente una bellezza straordinaria.
A quanti mi chiedono: “Cosa vuol dire amare?” rispondo sempre che “Amare è dare la vita”. E come mi piacerebbe che le mani di tanti, le mani di tutti, possano sentire, possano toccare, sperimentare quell’amore che riempie veramente la vita di gioia.
Per me è un impegno. Un compito a casa (“a vita”).


QUOTATION: "Adesso dovete domandarmi [dirmi,ndr] cosa c---- continuate a bere! Perché bevete?" don Antonio Mazzi, nella sua "serata di eccellenza"

domenica 10 ottobre 2010

SALVA CON NOME


Tornare a dire grazie. Pare cosa da poco, in realtà non è scontato. Nove su dieci non lo fanno.
Uno lo fa e si salva. Ringraziare, dire grazie, lo salva. Ma da cosa?
In latino salute e salvezza sono tradotte con la stessa parola, salus, hanno la stessa radice, dicono una cosa simile. I nove sono in salute, il decimo è anche salvo. Perché?
Me lo sono chiesto oggi, mentre ascoltavo queste parole piene di vita. Me lo sono chiesto mentre pranzavo in casa di una famiglia accogliente, con altri cinque ospiti, provenienti un po’ da tutte le parti del mondo. Me lo sono chiesto quando ho fatto quello che quel bimbo aveva profetizzato due settimane fa.
Lo chiedevo a me stesso quando una gabbianella incosciente (cioè non consapevole) ha trasgredito la seconda delle regole per avere la vita. Cercavo di capirlo quando ho raccolto, in ascolto, la nostalgia del futuro e della vita vera di un ragazzo.
Alla fine non so se ho capito perché ringraziare salva. Però ho voluto tirare le somme di questa lunga giornata (10.10.10): sono in debito, tremendo debito! Nei confronti di ogni persona incontrata, di ogni situazione che ho vissuto, tutto un grande debito.
Ora le due vie di fronte a chi si accorge di essere sommerso in un mondo che gli è stato dato in credito: la disperata fuga dalla realtà (con lacrime, evasioni, stupidate annesse..); oppure l’arrendevole, ma non perdente, “grazie” detto non a parole, ma con il cuore, verso il cielo, che è un po’ il contenitore di tutto quello che ci hanno fornito in dotazione.
Mi sa che ho scelto, anche oggi, la seconda via.

La tua fede ti ha salvato”.
Grazie!


QUOTATION: “Confidate nei sogni, poiché in essi si cela la porta dell’eternità” K. Gibran

sabato 9 ottobre 2010

POSTI VUOTI E POI...



...e poi un sogno.

Vorrei raccontare un sogno.
Mi trovavo ad una festa. Forse era un pranzo, perché c’erano tanti tavoli apparecchiati. Era il momento finale del pranzo, quando gli invitati di questo ipotetico banchetto, oramai, si erano già tutti alzati. C’erano gruppi di uomini che parlavano di calcio, fumando come ciminiere sigarette, sigari, pipe di altri tempi.
Posti vuoti e poi… simpatiche donne cinquantenni, che discutevano di argomenti interessanti: diversa qualità della frutta in un supermarket o nell’altro, il finale di una soap-opera alla tv, la ribellione tardo-adolescenziale di alcuni loro figli… .
Posti vuoti e poi… alcuni annoiati e sconsolati giovani, ventenni o poco più, obbligati a partecipare a quella noiosa (per loro) festa a cui non volevano andare. Anche io ero un po’ come loro: non avevo deciso io di passare in quel luogo, di partecipare a quella festa, di ascoltare quelle persone parlare, di passeggiare accanto ai tavoli, assicurandomi che tutto in tavola fosse perfetto: ci tenevo che le due forchette fossero precisamente accanto al piatto, che i giusti bicchieri (vino e acqua) fossero debitamente riempiti, i bouquet di fiori sufficientemente annaffiati, il tovagliolo decorosamente piegato, che a terra non ci fosse sporco e tante altre cose che ora non ricordo, perché non tutto ci dato di ricordare dei nostri sogni.
Posti vuoti e poi… ad un certo punto ricordo molto bene di aver visto una donna, avanti con gli anni, matura. Ricordo ancora il piacevole viso. Questa donna, una nonna giovane, teneva la mano del suo nipot-ino. Il piccolo aveva appena imparato a camminare e la sua curiosità lo stava portando lontano. Toccava ogni cosa, lanciato con vivacità verso la realtà che lo circondava: sedie, tovaglie, fiori, piante, gazebo, posate, persone.. tutto per lui era il mondo da scoprire, da toccare, da raggiungere con grandi falcate.
Poi, l’arresto: per terra un pezzo di pane, rosetta o michetta, fate voi. La nonna al vedere quel pezzo di pane sorride, felice. Lo raccoglie e lo mostra a suo nipote, indicandolo con il dito. Quel tozzo era metà giusta di una pagnotta. Lo sguardo curioso del bambino entrava in quella “cosa”, curiosando e cercando di capire cosa c’era dentro di così speciale, perché sapeva che era una “cosa” speciale. Ne sentiva quasi il profumo; percepiva dalle mani della nonna la superficie, un po’ friabile, un po’ morbida; capiva di desiderare, di aver fame di quell’oggetto così semplice e così strano.
La nonna disse: “Vedi, questo è il pane!”

...e poi, ovviamente, la sveglia è suonata.


QUOTATION: "Chi vuol donare amore, deve egli stesso riceverlo in dono" Benedetto 16, in Dio è amore

lunedì 4 ottobre 2010

RITORNELLI

Oggi questo è il mio.



Lo Spirito ci suggerisce tutti i giorni dei ritornelli,
che fanno della nostra vita una fantastica (ma reale!) sinfonia.
Musica!


QUOTATION: "Chi lo avrebbe mai detto che lo sarei diventato anch'io, un autore? Ma forse, in fondo in fondo, quando scrivevo in segreto il mio diario lo speravo." M.R.Stern in Il sergente nella neve

lunedì 27 settembre 2010

SPAZZ-INO

Ciao sono Andrea, il nuovo seminarista.
Il sabato e la domenica aiuterò don Pietro…


A raccogliere la spazzatura?

… sì,… anche …”.

Che bello quando incontri qualcuno che con una domanda, innocente, ti riporta con i piedi per terra. Quando la confusione che ti circonda sembra impegnarti i giorni da qui all’eternità e poche parole, semplici parole ti fanno capire quanto sei solo di passaggio, che quello che tu puoi dare di buono deve partire necessariamente dalle cose essenziali, un po' invisibili, ma non tanto da non esserci.
Ho deciso di riportare questa citazione di vita perché mi ha fatto sorridere, vivendola, l’altra sera.
C’è sempre bisogno di qualche piccolo che ci ricorda di tenere i piedi per terra.
Iniziando un nuovo tratto di strada, con gente nuova, in ambienti e luoghi che hanno una loro storia, provvidenziale l’incontro con quei tre bambini che giocavano “ai rigori” e che salutandomi mi hanno ricordato una cosa grandissima:
l’amore passa attraverso le azioni concrete, anche quelle più scomode e meno gratificanti.
Chiamati all’amore, non ad altro!




QUOTATION: “Vado dal macellaio e sono un cliente; dal farmacista e sono un paziente; dal prete un penitente. Sì, ma alla fine: chi sono io?” F. Scanziani

giovedì 23 settembre 2010

CICALEGGIO



C’era una volta Formica. La sua storia è nota. C’era anche Cicala. Anche la sua storia è nota. Questa cantava; quella lavorava. La prima in silenzio, senza mostrare la sua grande laboriosità e fatica. La seconda la fatica non sapeva neppure cosa fosse. Alla fine, si sa, l’appariscente canterina ha un bisogno vitale dell’umile e nascosta stacanovista.
Delle tre versioni (Esopo, Fedro, La Fontaine) mi piace ricordare quella del cantastorie latino. Liceali di tutto il mondo, chi di voi non ha mai tradotto questa versione? Chi di voi non ha incontrato almeno una volta il celebre finale: “Antea canebas, nunc salta!”?
Mi piace però pensare anche a un finale diverso. Sì, perché forse, l’onesta Formica avrebbe potuto ripensare a queste sue parole, guardando con un po’ di rimorso, dallo spioncino della sua porta, la “bella” Cicala camminare a testa bassa verso il rigoroso inverno, con sicuri passi incontro a una lenta e terribile fine. Possibile che tutto quel lavoro così meticoloso, quella fatica così silenziosa, quell’umiltà, che non è mai umiliazione, ma il capire e saper rimanere con i piedi per terra, non gli abbia insegnato il sentimento della compassione?
La Formica che ho in testa io non ci pensa due volte e non fa ripetere l’appello della sua coscienza: apre immediatamente la porta di casa sua e invita con un sorriso la Cicala a condividere le cose belle di casa sua. Un posto caldo, una chiacchierata, la compagnia piacevole: una casa. Perché l'umiltà insegna ad amare meglio.

Spesso ci si ritrova a vivere in luoghi in cui tutto sembra andare bene, tutto è al suo posto, tutto funziona. Se ci si chiede il perché, non si ha una risposta. Se ci si domanda: ma chi ha fatto tutto ciò? nessuno alza la mano per dire: “è merito mio!”. Altre volte non ce lo si chiede neppure: si vive del silenzioso e umile lavoro di qualcun altro, della preziosa (oserei dire santa) fatica di piccole “formiche”. Mentre noi cantiamo e balliamo, la Formica lavora e, alla fine, di questa Formica, abbiamo tutti un estremo bisogno!
Che bello sarebbe poter fare a queste persone straordinarie un regalo: un sorriso, un saluto, un “grazie”.

Se hai avuto la pazienza e la voglia (e il tempo da perdere) di leggere fino a qua, caro lettore, cacciatore di note nel mondo che amiamo, ti vorrei invitare a pensare a quante Formiche aiutano la tua vita e la rendono una piacevole armonia: può essere la mamma, la nonna, una bidella, una “signora delle pulizie”, un amico, un compagno di scuola o collega di lavoro… .
Cerca qualcuna di queste persone e ringraziala, con un sorriso. Ringraziala per il bene che, senza che tu te ne accorga, fa per te ogni giorno.
Dire “grazie” inorgoglisce i superbi, ma fa felici gli umili.
Musica!


QUOTATION: "Senza cielo non si può vivere. Solo con il cielo la terra diventa giardino. Altrimenti resta fango." vescovo Giancarlo

martedì 14 settembre 2010

DI NUOVO...

...valigie!
Ri-parto. Un po’ emozionato, alla fine di questa estate. Dicono che l’estate sia tempo libero. A me sembra “solo” una stagione. Per me non finisce la libertà e non finiscono le belle giornate. Certo aumenta il tempo per il dovere e le varie scadenze. Ma è la vita ad essere fatta anche di doveri e anche di scadenze.
Strano pensare alle partenze e al momento dell’ “arrivederci”. Ogni arrivederci, in fondo, nasconde una ferita. Se non altro c’è la ferita di un distacco, di una separazione, anche solo momentanea. Ci si augura reciprocamente, con una stretta di mano, o magari con un abbraccio pieno di emozione, di poter fissare ancora qualche istante di vita, insieme, di vedersi, di guardarsi reciprocamente negli occhi, perdendosi nell’infinito mistero che per noi è l’altro.
Scrivo nella stessa stanza in cui ho scritto un post all’inizio di quest’estate. Aspetto di vedere questo tramonto e poi… ricomincio da Cinque!
Grazie a tutti: dai giovani con i tamburi rossi, alle gabbianelle che vogliono volare! Se siamo “belle persone” è perché siamo importanti, per qualcuno siamo preziosi, per Qualcuno davvero…we are golden!



QUOTATION: "Solo gli amori veri e grandi "obbligano" alla fedeltà" Alessandro D'Avenia

venerdì 10 settembre 2010

VOLARE, VOLARE

Essere alla vigilia di qualcosa lascia sempre un po’ di emozione. Molti di noi (è un noi legame-relazione, che racchiude un po’ le tante persone che conosco) stanno vivendo l’esperienza della vigilia. Chi per la scuola, chi per l’università (che è sempre scuola), chi per il lavoro o per un colloquio importante. Qualcuno, spero tutti, per una promessa che domenica farà sul Vangelo di Gesù. La promessa di una fiducia, di un’amicizia che continua, ma in qualche modo ri-comincia di nuovo, come nuove sono le cose che vengono dal credere a quella notizia.
Siamo alla vigilia di un nuovo anno lavorativo, secondo il calcolo scolastico dei nostri ritmi di vita che ha capodanni settembrini per anni che durano quanto l’attesa di una nuova vita.
Qualcuno vive la vigilia di una partenza (me compreso) in stile ri-partenza. Quando la vita chiede di essere lesti e pronti nel lasciare case e campi e andare altrove. Valigie pronte, scatoloni, libri che si ammucchiano in ogni spazio libero. Ricordi a fiumi e quasi la voglia di pensare a cosa fare domani qui, sapendo che presto, per tanto o poco tempo, non saremo più qui.
Le vigilie importanti, vivacchiando di passato, sentono la nostalgia del futuro e invitano al cammino. Verso dove non tutti lo sanno. Fiduciosi, però, di camminare dietro a Qualcuno che la strada la conosce molto bene.


A chi parte, a chi incomincia, a chi sta per iniziare.


QUOTATION: “La gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande” Benedetto 16

martedì 7 settembre 2010

VITA NON È FACCIA



Triste vedere come i link(s) di Facebook si stiano sempre di più ripetendo, sempre più svuotando di senso, sempre più riempiendosi di retorica di basso livello, sempre più gonfiandosi di bassa filosofia da dopopranzo, frutto di digestioni lente e dolorose.
Preoccupante leggere il “mi piace” sotto frasi, pareri, commenti senza un briciolo di spessore.
Ogni volta che “accediamo su Facebook..cerchiamo frasi o esperienze in cui ritrovarci”. Già, a scapito della vita vissuta, però!
Grandi parole, emozioni, promesse; scritte e che rimangono tali, solo scritte, su un rullo di carta virtuale bianca, che sembra non finire mai.
Qualche giorno fa ho provato a tornare indietro nel tempo: ho cercato i miei primi “a cosa stai pensando”. La maggior parte di questi miei “pensieri” sono stati eliminati, cancellati, resi nulla, resi niente.
Poco dopo ho cercato di far ragionare un adolescente sulla stupidità di un link che aveva condiviso.
Tutto inutile. Più rigido di un conservatore old style. E, per di più, il “quadrato di mente” ero io, che usavo la testa e non il mouse…

M., A cosa stai pensando?
ho 15 anni, ho l’età per non pensare a niente

Effetto Facebook, effetto niente.
p.s.: essere stanchi del niente di cui troppe vite son piene non vuol dire essere moralisti, ma amanti della vita vera!


QUOTATION: “Per vivere non basta non morire”, Sia fatta la tua volontà, Stefano Baldi

lunedì 30 agosto 2010

BANALITÀ

Le cose banali penso non piacciano a nessuno. Tanti le scelgono, pochi, alla fine, le riconoscono come vere. Ci sono parole banali, azioni banali, scritti banali, film(s) banali, canzoni banali. Ci sono persone banali, scelte banali, compiti in classe banali (ma questi mi piacevano al liceo!), ricette banali, pranzi e cene banali, scherzi o spettacoli banali. Banali possono essere le lettere di ieri o le e-mail di oggi, gli sms o le confidenze fatte all’orecchio. Ci può essere banalità nel male, ma anche nel bene. Qualcuno può pensare di vivere una vita banale. Qualcuno può dire che persino la morte, a volte, sembra essere banale.

Un amico vero, quello non è mai banale, perché anche la banalità, se sporcata di vera amicizia, è una musica che fa sorridere la vita.



QUOTATION: “Good friends are like stars. You don’t always see them, but you know they’re always there” old saying, per il quale ringrazio Alessandro

venerdì 20 agosto 2010

SVEGLIA GRIGIA



Ci sono mattine in cui la sveglia suona note brillanti e gioiose. Sono giornate piene di cose da fare, ricche di incontri piacevoli, piene di impegni e soddisfazioni in agenda.
Ci sono mattine in cui la sveglia suona note assonnate. La sera si fa tardi, per dovere o piacere, e gli sbadigli che aprono il giorno dicono la nostalgia di un cuscino e di un comodo materasso, più che il saluto al sole che sorge.
Ci sono mattine in cui la sveglia rimane in silenzio. E in genere queste sono giornate in cui hai un sacco di cose da fare e hai un sonno bestiale!

Oggi, per esempio. La mia sveglia è rimasta a dormire.
Penso abbia guardato il colore del cielo.
E appena alzato, appena guardato il colore del cielo, anche io sono diventato di quel colore.
Né bianco né nero, né carne né pesce.
Nemmeno l’idea di un “intervallo” da questo secondo tempo di estate è riuscito a convincere la tavolozza dell’umore a colorarsi un po’.
Se avessi dovuto suonare una nota, di sicuro avrei suonato un Do.
Bemolle!

Eppure, a metà mattina, la sorpresa: la possibilità di incontrare un uomo straordinario, un anziano, un saggio. Testimone di quasi un secolo di storia, amico di grandi uomini, compagno di viaggio di grandi-buoni uomini. Occasione da non perdere!
Chiedo il permesso di salutarlo. Permesso accordato.
Entro in casa sua e sento il profumo di una casa viva. Manca un’ora al pranzo. Mi affaccio alla porta dello studio e subito quest’uomo, novantacinquenne, scatta in piedi e mi abbraccia per salutarmi. Con il sorriso mi chiede il nome e scherzando, con una mano sventolante, educata e simpatica, dice a un giornalista che lo stava intervistando: “Ora via, ho una cosa più importante da fare!”.
Un po’ imbarazzato mi accomodo al tavolo e subito rimango incantato dalle sue parole, dalla sua convinzione, dalla sua giovinezza.
A separarmi da lui un tavolo e settantadue anni di vita.
Mi legge un biglietto di auguri che ha scritto per un suo amico, mi legge un pezzo della prefazione di un suo libro.
Mi dona tre quarti d’ora di straordinaria e pura sapienza umana e cristiana.
Parliamo dell’individualismo, parliamo della violenza, dell’indifferenza alla crisi che ci colpisce.
Parliamo del sorriso necessario a vincere il grigio che copre la nostra società.
[Alt!! .. Sorriso? Grigio?]
Mi parla del suo maestro e ispiratore, della sua bontà, della sua affabilità.
Mi parla di quante persone non vogliono più sperare, più credere, più amare.
E di come lui, alla sua età, si presta a supplire le loro mancanze, sperando, credendo, amando per loro.

Mi scusi, ma se durante il giorno fa tutto questo, a che ora si alza al mattino?
Beh, abbastanza presto, alle tre e mezzo!

Un sorriso, un abbraccio.
Arrivo anche oggi a un Si.
Diesis!


QUOTATION: "La psicologia del profondo non è congeniale ai Cesari imperatori" G. Scerbanenco

venerdì 13 agosto 2010

MONDO

Abito in un quartiere di martiri, nella via di un pastore protestante. Il mio quartiere è alla periferia di un pacifico paese, nell’interland di una grande città.
Abito su di una collina, circondata da anelli di strade e viali alberati. Su questa collina c’è un castello. E io in questo castello ci vivo. Nel cielo volano spesso aeroplani che tracciano linee acrobatiche a tutte le ore del giorno. Come api intorno a noi, fiori.
Abito in più posti di una città dall’altra parte della seconda capitale. Abito in una casa che non è mia e mi sposto con un velocipede a due ruote per le vie di quel luogo.

Ho abitato piccoli paesi con pecore e nel cielo tante stelle.
Ho abitato sobborghi degradati, banlieue italiane, dove ragazzi con tanti sogni li bruciano dormendo in strada.
Ho abitato le vite e i desideri più profondi di ragazzi, giovani, adulti che cercano la felicità continuando a guardare in cielo e credendo ancora. Sperando ancora. Senza illusioni.

Abito questo tramonto, insieme a quello stormo di passerotti che, da alcuni giorni, ha deciso di abitare insieme a me, a casa mia.
Casa mia. Dov’è casa mia, se non in tutto il mondo?


QUOTATION: "Uomini...figli...più li guardo, più li canto, più li ascolto,
più mi convincono che il tarlo della vita è il nostro orgoglio
" Cesare Cremonini - Mondo

NICKNAME

Ricevo il saluto di un amico, incontrato e conosciuto qualche settimana fa, parlando di Egitto e di deserti. Mi racconta di come un giorno, mentre parlava con alcuni altri suoi amici, stava pensando ad alcuni sopra-nomi.

cosi’ stavamo facendo i soprannomi e mi e’ venuto

Noto la tastiera anglosassone. Un dettaglio. Non ci do molta attenzione. Mi stupisce più che altro quel soprannome. Originale. Molto originale. Troppo originale. Che responsabilità!
In genere non mi piacciono i sopra-nomi. Me ne hanno sempre dati tanti. Alcuni non li ho mai sopportati, mi davano fastidio. Quasi mi offendevano.
Altri li ho sempre sentiti come il modo con cui qualcuno di preciso mi chiamava: i compagni di scuola, gli amici, i parenti, i miei genitori. Tutti avevano (hanno) il loro sopra-nome per chiamarmi. Alcuni sono belli a sentirsi. Altri sono oramai un’abitudine.
Non ho grande simpatia per i sopra-nomi per il fatto stesso che stanno sopra di me, mi coprono, a volte mi schiacciano. Stanno sopra il mio nome. Sono di più di me, quindi non sono me. Dicono qualcosa di me che non è reale. Tuttavia sottintendono un legame particolare, tutto particolare. Unico direi.

Ceri, Cirio, Cirius, Cerians, Tato, ----, …

Il nomignolo nuovo mi ha davvero stupito: an-dreamer.
Poco pronunciabile, poco pratico. Straordinario!
Non me lo merito!
Sono solo uomo, il mio nome lo ricorda.


QUOTATION: “L’umiltà è la virtù più difficile da conquistare; niente di più duro a morire del desiderio di pensar bene di se stessi.” T.S. Eliot

martedì 10 agosto 2010

HO VISTO LE STELLE



Martedì 10 agosto. San Lorenzo. Molti stanno aspettando questa notte. Verranno espressi desideri di un intero anno. Desideri di amore, di felicità, di fortuna. Purtroppo quest’anno non penso di riuscire a vederne molte di quelle stelle. La luce del cielo è difficile da guardare quando è pieno di luci umane. Penso sia sempre così. Quando il Cielo si riempie troppo di “cose” umane non è più Cielo. E così, delude. E se il cielo delude dove si guarda se non per terra?
Cercando sempre di guardare il cielo, tenendo i piedi per terra, ricevo in giornata un sms di una amica. Di una cara amica. Compagna di banco per cinque anni di vita. Compagna anche nella strada del ritorno a casa quando la fatica delle ore scolastiche iniziava conversazioni straordinariamente indimenticabili. Mi ricorda la poesia del Pascoli dedicata a questa giornata. La prof (La Prof!) ce l’aveva fatta leggere al liceo.
Non ricordandomelo assolutamente, cerco il testo su Internet e lo trovo con parafrasi a fronte.

San Lorenzo , io lo so perché tanto
di stelle per l'aria tranquilla
arde e cade, perché si gran pianto
nel concavo cielo sfavilla.

Ritornava una rondine al tetto:
l'uccisero: cadde tra i spini;
ella aveva nel becco un insetto:
la cena dei suoi rondinini.

Ora è là, come in croce, che tende
quel verme a quel cielo lontano;
e il suo nido è nell'ombra, che attende,
che pigola sempre più piano.

Anche un uomo tornava al suo nido:
l'uccisero: disse: Perdono;
e restò negli aperti occhi un grido:
portava due bambole in dono.

Ora là, nella casa romita,
lo aspettano, aspettano in vano:
egli immobile, attonito, addita
le bambole al cielo lontano.

E tu, Cielo, dall'alto dei mondi
sereni, infinito, immortale,
oh! d'un pianto di stelle lo inondi
quest'atomo opaco del Male!


Triste?
Molti di noi questa notte guarderanno piangere il cielo. Sarà la notte in cui dalle stelle cadranno sogni che diventeranno depiuablativamente desideri. Quando il cielo piange l’uomo desidera. Ma cosa desidera?
Sembra essere la notte della mancanza: a noi qualcosa al cielo pure! A noi un chiedere al cielo il piangere. Perché tanta nostalgia? Domanda retorica…
Il cielo, come sempre, è disposto per ciascun uomo a perdere una stella.
Mica male, eh!?!
Dreamers di tutti i tempi, buona notte!


QUOTATION: dott.sa: “questo è uno degli esami più fastidiosi che possa fare. È pronto?” Paziente: “mi dica cosa devo fare” dott.sa: “beh, se vuole urli!