mercoledì 2 febbraio 2011

FOTOFOBIA


Possiamo perdonare un bambino
quando ha paura del buio.
La vera tragedia della vita
è quando un uomo ha paura della luce.
Platone



Oggi è la festa della Presentazione del Signore al Tempio.
I nonni mi insegnano che la si può chiamare anche "candelora". Molto volgare (nel senso meno volgare del termine) e forse un po' meno liturgico, ma richiama subito la presenza, in questa festa, delle candele. E le candele, prima di tutto, servono a far luce. Qualcuna può fare anche profumo, ma questa è un'altra storia.

Leggo, dando un'occhiata alla prima pagina del giornale del partito, un breve pensiero mattut-ino. Parla di luce, ma anche di buio. Anzi, parla della paura della luce. La foto-fobia.
Mi ha colpito quella citazione di Platone, perché fisicamente parlando anche i miei occhi "soffrono" un po' di questa paura-fastidio. È un problema di occhi: ci vuole un sacco di tempo al mattino ad abituarsi alla luce seppur graduale delle lampade a basso consumo che ho sulla specchiera del mio bagno e gli starnuti, per la luce del sole, mi tormentano fino allo stordimento.
Eppure il bisogno di luce è grande.
Lo si è capito un mesetto fa, a Natale, quando la vita vera, quella di Dio, ha deciso di fare i conti con le nostre vite.
E così è nato Gesù.
Lo si è capito quando le tante luci e lucette presenti sulle vetrine dei negozi e nelle strade delle città ci hanno fatto sentire un po’ estranei alla gioia di una festa che si fa fatica a capire e a vivere. “Non sento più lo spirito del Natale” si diceva. Cioè non si riusciva a vedere la luce che viene nel mondo.
Che fare? Un mese è passato. Eppure la Buona Parola richiama ancora questo bisogno vitale di stare nella luce.
L’articolo che leggo cita Kafka che su Gesù Cristo dice: “Lui è un abisso di luce. Bisogna chiudere gli occhi per non precipitare”. Occhi chiusi, pare suggerire.
Occhi chiusi per non precipitare, per non cadere, per non andare a sbattere, per non rischiare (perché no?, anche per non rischiare di farsi un po’ di male), per non di-staccarsi da un prima, per non andare verso un dopo, verso un futuro che attrae a una vita un po’ diversa.
Occhi chiusi per non vedere quello che succede in casa nostra, nella casa del nostro vicino, nella vita di chi ci sta accanto, di chi viaggia con noi sul metro, di chi incontriamo per strada.
Occhi chiusi per non scandalizzarci più di niente, né del fango che cade dall’alto sulle nostre testol-ine, né della vita buttata in grandi(piccoli) fratelli, né del fatto che il giorno di Natale qualche ragazzo invece di lasagne e oca arrosto ha pranzato con i funghi allucinogeni.
Occhi chiusi per farci andare bene tutto, qualsiasi cosa, perché così è più facile poi evadere da un’esistenza lavoroperseigiornimanelsettimovogliosballare.

Io sono la luce del mondo”.
Occhi chiusi per paura.
Paura della luce. Foto-fobia.

8 commenti:

  1. ...e poi, niente luce = niente colori.....

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  2. Bianco? O nero?
    O peggio ancora: bianconero???

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  3. tutto sommato fa più male il buio che una forte luce negli occhi

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  4. "tutto sommato"?
    su, su!
    un po' di cor-aggio!!

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  5. Ma questa fotofobia da dove e da cosa deriva? é sintomo di debolezza? Di piccolezza? Cosa porta una persona a preferire la non-luce? il fatto di non esserne all'altezza? E, mancanza di luce per mancanza di coraggio?! Insomma, sì, possiamo giustificare un bambino che ha paura del buio, ma un uomo che ha paura della Luce?

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  6. Platone (Platone!) non lo giustificherebbe.
    "Tutto sommato", per dirla come Anonimo#2, si potrebbe comprendere il rimanere abbagliati, il rimanere storditi di fronte a tanta, così tanta, luce. Debolezza e piccolezza non sono un male. Sono, spesso, il nostro punto di partenza. Ma bisogna partire. Anche contro corrente.
    Con coraggio! Come fa la gabbianella, che si fida di un gatto. Ma poi vola.., altroché se vola!

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  7. Questa mattina il mio prof di filosofia ha espresso un commento che mi ha turbato e mi ha rimandato alla foto-fobia di cui sopra. Al mio prof non piace il sole, non piace la troppa luce, la primavera. Preferisce starsene chiuso in casa a leggere, nella penombra. Preferisce barricarsi in albergo mentre la sua famiglia, moglie e figlio adolescente, al mare, prende il sole, fa il bagno, trova un momento per sè. A lui non dispiacciono le giornate uggiose, di pioggia, un po'buie. Il mio prof è ateo.
    A cosa ho pensato, allora? Mi fa pena. Non amare la luce, rifuggerla rappresenta un'impressionante evidenza simbolica del suo vivere e concepire la vita, ossia il suo non concepirla. E' davvero un'impressionante evidenza simbolica di come la luce sia Luce ("luce da Luce") e di come la Luce, quella vera, chiami alla vita. Quella he il mio prof non vede.
    Lui dice di non avere il dono della fede (ma la fede è un dono?)...che inizi piuttosto aprire gli occhi alla Luce. O alla luce, se non altro.
    Foto-fobia...che tragedia.

    A.nonimo

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  8. Ma quante evidenze simboliche!
    Se non fosse per quella firma anonima (che ha comunque il suo perché) direi che sei passato dai banchi della "mia" facoltà. Anche l'ora del commento un po' ti tradisce, quasi al limite.
    Ovvio che la fede non è solo un dono. Sarebbe bello per chi ce l'ha e tremendo per chi no. Non mi pare che nel Vangelo ci sia scritto che la fede sia dono. C'è scritto invece che occorre averne e non essere increduli. Con Gesù in giro forse sarebbe più semplice (anche se non ne sono così sicuro: quanta gente non gli credeva anche di fronte ai miracoli!). Ma forse ci è chiesto di credere, di affidarci, in un altro modo.
    Il tuo prof di filosofia non mi fa tanta pena. Sono le cose che non si conoscono veramente a fare paura. Per lui c'è ancora tempo.
    "Voi siete la luce del mondo". Prova ad essere tu quella luce, magari un po' di paura gli passa.
    Ciao
    a.ndre

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