domenica 19 giugno 2011

SEMPLICE SEMPLICE



Mi è capitato spesso di sentire da più parti, come sia difficile per alcuni accettare i tanti dogmi che la Chiesa propone come verità infallibili, da credere fermamente. Il dogma pare essere qualcosa di pesante da digerire, noioso da “seguire”, violento e anche un po’ antipatico.
Sul fatto che siano tanti avrei qualcosa da dire: cosa fa dire “sono tanti” oppure “sono pochi”? E anche sulla loro terribile reputazione, qualche parola andrebbe spesa. La parola dogma, può avere parecchi significati: opinione, parere, pensiero, dottrina, decisione, decreto, giudizio… . Per quanto riguarda la fede, un dogma è qualcosa che si crede perché si sa essere vero. È vero perché è parte di ciò che Dio ha voluto dire all’uomo, cercandolo con tutto se stesso, fino a trovarlo e, in certi casi, fino a farsi rifiutare.
Oggi si è potuto pensare a una delle verità più interessanti e nello stesso tempo più misteriosa di sempre: la Trinità. Presto detto, in formule, che la Trinità è il Padre, il Figlio, lo Spirito. Tre persone, un solo Dio. Ma come è possibile? Se chiedi il nome delle tre persone della Trinità, moltissimi lo conoscono, ma se provi a investigare un po’, se solo ti spingi oltre i semplici nomi e domandi: “ma come può funzionare una cosa così?”, allora l’imbarazzo è visibile. Perché è vero: non è facile spiegarla, ma nemmeno impossibile.
Per prima cosa sembra proprio che la Trinità sia qualcosa di davvero importante. Ci permette di sapere che Dio è un Padre, è un Figlio e uno Spirito. Oltre a questo, però, la Trinità sembra essere un po’ troppo lontano dalla vita, un concetto difficile, da non considerare sempre così indispensabile come il perno di ogni discorso. Quindi, come conclusione: la Trinità è importante, ma non più di tanto, data la sua difficile comprensione e la sua apparente irraggiungibilità.
Ma è proprio così? È così difficile comprendere la Trinità? Ancora una volta, ci butto dentro la testa. Nel tema, ovviamente.
Leggo le letture della messa. La (prima) Lettura parla del roveto ardente di Mosè. Il Signore appare a Mosè in una fiamma di fuoco, un fuoco che fa ardere il roveto, ma che non lo consuma. Un prodigio, inspiegabile, da credere. Quasi un dogma. Un roveto che arde, ma non si consuma. Da quell’albero così misterioso esce una voce, che è la voce di Dio. “Ho osservato la miseria del mio popolo. Ho udito il suo grido. Conosco le sue sofferenze”. Per questo motivo, proprio perché Dio guarda, ascolta e conosce la sofferenza dell’uomo, dice a Mosè di andare a dire ai suoi fratelli che c’è ancora speranza, che Dio rimane fedele.
A questa proposta di avventura, Mosè chiede: “Chi sono io…?”.
Quante volte ci si fa questa domanda. La risposta di Dio spiazza: “Io sarò con te”. Non è proprio la risposta diretta alla domanda di Mosè, non risolve molto il dubbio nostro e suo sull’identità, ma ci dice lo stesso una cosa importante: chiedersi “chi sono?” davanti a Dio porta a scoprire la sua presenza accanto a noi.
E questa cosa fa stupire, tanto!
Dopo la domanda su se stesso il caro Mosè, un po’ stupito pure lui della risposta che gli è stata data, vorrebbe sapere almeno il nome di questo Dio così misterioso. Qual è il nome di questo Dio che, nel bene o nel male (male?), fa stupire così tanto?
Lui – Dio – di se stesso dice solo: “Io sono”. Lui è! Quindi se “è” vuol dire che c’è. Lungi da me l’ennesima dimostrazione logico-razionale della sua esistenza. Volendo basta la vita (vissuta al centopercento) a dimostrare che “Io sono” esiste davvero e veramente.
Ma “Io sono” cosa? Per noi italianofoni c’è bisogno di qualcosa che ci aiuti ad avvicinarci meglio a questo strano nome. Manca un oggetto. Manca l’oggetto. Per eccellenza.
Seguitemi: se siamo tutti d’accordo Dio è amore. Ok? È vero che l’amore per essere in minima parte capito, ha bisogno di qualcun altro: una ragazza, un ragazzo, un fratello, un amico, una moglie, un marito, un figlio,… . Amare ha bisogno sempre di un complemento (belli i verbi transitivi!), che completi la vita di uno con la presenza dell’altro. Basterebbe solo la presenza. Basta esistere, così come si è, “compresi i difetti” per poter dire a qualcuno “ti amo”. Diffido un po’ di chi è molto generoso nel dire “ti amo” a tutti. Ma ho anche un po’ di paura di chi non riesce e non vuole mai dire neppure un “ti voglio bene”, nemmeno quando serve dirlo. Insomma un giusto mezzo: se Dio è amore, come credete che comunichi con gli altri, se non dicendo con tutto se stesso “ti amo”? Dio rimane sempre se stesso. Quindi: amore. Quindi, tornando alla questione del “sei uno – sei tre”… se l’amore serve per completare la relazione tra due persone, allora i protagonisti di tutta questa storia non possono essere solo due, ma son necessariamente tre!

Io, l’altro e ciò che ci unisce.
L’amante, l’amato, l’amore.
Il Padre, il Figlio, lo Spirito.

È così difficile da capire la Trinità?

3 commenti:

  1. ... hai ragione! Soprattutto noi consacrati facciamo una gran fatica anche solo a dire "ti voglio bene!"... e così per la paura di peccare per eccesso, va a finire che pecchiamo (più gravemente forse) per difetto.
    Ti lascio un pensiero che un Sacerdote ci ha regalato qualche anno fa in un omelia per la festa del Buon Pastore: "Dio sa contare solo fino a 1. Non ama le masse, ama i singoli"
    ... e questo amore di privilegio, moltiplicato per 3 diventa perfetto! =)
    ciao, auguri, buon cammino nell'amore!!!

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  2. Cercherò sempre di re-stare in quell'amore. Ho in mente quelle parole, ma non riesco proprio a ricordarmi quando e chi le abbia dette..

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  3. Beh, non fa una piega.. Semplice, semplice :)

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