venerdì 13 aprile 2012

"MA TU NON HAI PAURA DEL FUTURO?"



Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire, 
gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò. 
Lc 8, 43-44

Quando qualcosa provoca un grande spavento, tale da fare impallidire il volto, da far tremare le gambe e, a volte, da far piegare le ginocchia, il terrore scorre in ogni angolo del nostro corpo, non come adrenalina che scuote di emozione, ma come paralizzante, che inchioda per terra. 
 C’è un terrore, sottile e macabro, che scorre sulle pagine dei giornali che stiamo leggendo in questi giorni. Un terrore che parte da un bianco, il colore dell’assenza di sangue. I cadaveri sono bianchi. La morte è bianca, non nera. Il terrore che leggiamo sui giornali in questi giorni parte da un tocco mancato, dall’incapacità di riuscire a toccare, anche solo per un attimo, un piccolo lembo di mantello, per fermare quel sangue, per impedirgli di andar via, per consentirgli di rimanere e continuare a dare vita.

E’ il terrore di chi legge di tanti/troppi giovani che si tolgono la vita perché senza lavoro, senza futuro, senza speranza, senza un motivo per vivere. Il terrore di chi legge e sente parlare di questi drammi, che riguardano chi dovrebbe essere l’anima del mondo, il fuoco che lo brucia, il sale che dona sapore, la luce che illumina ogni genere di buio. Invece il buio, la tenebra, sembrano vincere. Grande sfida per chi si appresta ad essere luce da far risplendere davanti agli uomini. Una sfida che fa sentire impotenti perché qualunque morte cercata è la dichiarazione urlata, col sangue che scorre, di un fallimento.
Non tutti riescono a cercare, trovare, vedere un mantello al quale aggrapparsi. E anche se trovato, non tutti riescono a toccare quel mantello, che costituisce la salvezza al di là del bene e del male di quel momento. Nonostante tutto ci dovrebbe essere per chiunque un mantello da afferrare, un panno caldo sotto il quale mettersi, una spalla per piangere, un orecchio per essere ascoltati, un foglio sul quale poter scrivere uno sfogo da far leggere ad un amico.

Tanti i motivi dei suicidi degli ultimi giorni: la crisi economica, la perdita del lavoro, le incomprensioni con genitori e mondo degli adulti, delusioni, disperazioni.
Un ragazzo, qualche giorno fa, mi ha chiesto: “ma tu non hai paura del futuro?”.
Ho riflettuto un attimo prima di rispondergli. Perché per quanto potrebbe essere complicato, il mio futuro rimane comunque garantito. Il suo invece potrebbe esserlo un po’ meno. Nonostante ciò ho voluto rispondergli nella maniera più realistica possibile, perché non è la paura che mi fa vivere, ma il motivo che ho scelto per spendere l’unica vita che ho. E pensando proprio a questo, al motivo per il quale sono nel mondo, ho deciso di rispondergli di no. Non ho paura del futuro, perché il futuro non esiste. Abbiamo un solo momento per vivere, una sola freccia da scoccare, una sola giornata "al giorno". Il presente è il tempo che abbiamo, non il futuro. L’unica nostra proprietà è il momento che stiamo vivendo e che già non c’è più; l’unica possibilità che abbiamo è quella che il secondo precedente a questo ci ha dato e che ora è già persa. C’è tutta una vita da spendere al presente, senza trattenere nulla, ma, anzi, abbondantemente donando.
Mi spaventa leggere certe notizie. Mi lascia molto preoccupato continuare a leggere le frasi di giovani e ragazzi che denunciano pubblicamente dai loro social network l’insoddisfazione per il tempo presente, il vuoto, il bianco, l’amaro che ogni secondo porta con sé.
Potrebbe essere inopportuno il chiedere? E’ forse indelicato fare domande su circostanze drammatiche nelle quali i nostri amici vivono? E’ meglio, per correttezza, lasciare le persone nel proprio dolore e nella propria sofferenza? E’ più giusto tacere il fatto che il motivo della nostra gioia non sta dentro di noi, ma va cercato all’esterno? Cosa deve succedere ancora a questo mondo per convincerlo ad alzare lo sguardo e capire che la vera bellezza sta nel cielo? 
Se c’è un mantello capace di sanare le ferite di una donna, che per dodici anni ha perso sangue, quel mantello lo voglio portare nel mondo e avvicinarlo il più possibile alla vita di chi incontro. 


Per ricordare chi non ce l’ha fatta ad afferrare quel mantello.

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