mercoledì 2 giugno 2010

REPUBBLICA

Apro la finestra di camera mia per chiudere l’imposta. Sono anni che non lo faccio più. In genere quando torno a casa, le più o meno rare volte che torno, la persiana di camera mia è sempre (già) chiusa. La mia camera sembra essere sempre buia. Come se fosse disabitata. In realtà ogni tanto ci dormo ancora in questa stanza, che è stata la stanza dove sono cresciuto, dove ho imparato le tabelline, la filosofia di Kant, il calcolo dei limiti…
Ricordo ancora molto bene la sera in cui mi resi conto di aver imparato a leggere. Ero seduto nello stesso punto in cui sono ora. Avevo in mano il foglio con l’orario scolastico. A ogni ora non corrispondeva una materia, ma il cognome della maestra. La prima parola che ho letto in vita mia è stato il cognome della mia maestra di italiano: la stessa maestra che il primo giorno di scuola, diciassette anni fa!, mi ha chiamato assieme ai miei compagni; la maestra che aveva asciugato le lacrime di chi non voleva staccarsi dalla mamma e non voleva incominciare la scuola; la maestra che anni dopo, per ben due volte, ha asciugato le lacrime di tanti compagni della nostra 5° B di fronte alla “partenza” di due di noi… . Sì, la maestra Nadia!

Di fronte a questo tramonto un po’ di pensieri. Il primo è senza dubbio il non trovare i miei amici pioppi. Erano sette, tutti in fila. Mi hanno fatto compagnia ogni giorno di tutta la mia infanzia, preadolescenza e adolescenza. Ora non ci sono più. In compenso c’è un nuovo quartiere di ville e case di benestanti. Sic!
Poi ho quel pensiero che vuole che i tramonti siano cose tristi. In parte è vero. In parte no. Ho sempre guardato al cielo infocato e ho sempre pensato: “Beh, quelli dall’altra parte o si bruciano tutti o non dormono tutta notte!”. Non sapevo ancora che la terra non è piatta.
Penso anche ai monti che vedo in lontananza (e mentre scrivo riguardo il cielo: è tutto rosso. Davvero “sembrano fantasmi” quelle nuvole). Non ho mai capito quali monti fossero, ma non dovrebbero essere troppo diversi dalle montagne che si vedono dalle finestre dell’altra mia casa.
Penso all’esame di domani. Penso al rumore delle macchine che sento. Penso al vento.

Penso a quei due che ho incontrato oggi, mentre stavo guidando. Un uomo e una donna. In bicicletta! Il punto esclamativo è perché oggi, andare in bicicletta, non era certo la cosa più intelligente da fare. Infatti facevano una fatica immonda, cercando di pedalare e, comunque, procedendo a poco a poco, sulla loro strada. Sorridevano. Sembravano felici. Ma io penso che qualche parolaccia l’abbiano anche detta.

Auguri, Mamma e Papà, da ventisei anni insieme, ma penso da sempre uniti, nonostante il vento, pedalando sulla vostra/nostra strada!
aNdRe


QUOTATION
Non è un gran vantaggio chiamarsi Viskovitz quando quel poco che la vita ha da offrire è distribuito in ordine alfabetico” Alessandro Boffa in Sei una bestia, Viskovitz

5 commenti:

  1. ... io amo i tramonti... ne ho uno appeso in camera in una cornice, in realtà è una cartolina, viene dalla Terra Santa, si vede Gerusalemme al tramonto e mi piace pensare che Gesù ha visto quel cielo e quei colori...!
    Me l'ha regalata il mio amico seminarista quasi tre anni fa, sapeva che amavo i tramonti... credo che sia un tuo compagno di classe ;) ciao!

    RispondiElimina
  2. Ciao, Anonimo.
    Come si chiama questo tuo amico-mio compagno di classe?

    RispondiElimina
  3. sì sì, è un tuo compagno =) ne abbiamo parlato l'altro giorno!.... Miolo! ciao =)

    RispondiElimina
  4. Si, direi che è mio compagno (e prefetto!)
    ciao

    RispondiElimina