martedì 30 novembre 2010

"VENITE DIETRO A ME"



ἀνήρ, uomo, Andrea.
Sempre chiamato ad essere ciò che il mio nome dice di me.
venite DIETRO a me".. Eccomi!!

domenica 28 novembre 2010

ASPETTARE VUOL DIRE ACCORGERSI

Ancora una volta le sue parole mi fanno riflettere su alcune coincidenze – casualità.

È ormai tempo di svegliarvi dal sonno.. nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano, bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e…

..e non si accorsero di nulla!

Nella romanica terra dove oramai da mesi mi trovo a festeggiare il giorno più bello della settimana, oggi è cominciato un nuovo tempo. Un canto in meno, una candela in più, meno verde e più viola (che, tutto sommato, rimane un bel colore!). È il tempo chiamato Avvento.
Attesa.
Quindi attendiamo ovvero (!) aspettiamo.
Aspettare è un’esperienza tanto particolare quanto necessaria per crescere e diventare veri.
Chi mi conosce – in carne ed ossa – sa che, nonostante tenga l’orologio un’ora avanti, non sono mai puntuale o in anticipo. Mamma, papà e una sfilza di altre persone importanti per la mia vita me lo ripetono spesso: “Sei sempre in ritardo!”. Ma non è questa l’attesa di cui sto parlando.
Se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa”. Ovvio!
Mica tanto! (la mia solidarietà a chi, ultimamente, ha ricevuto visite spiacevoli in casa propria).
Se qualcuno o qualcosa ha intenzione di entrare in casa nostra o nella nostra vita e pensa di fare da padrone e noi conoscessimo la sua poco buona intenzione, forse, ci sveglieremmo, staremmo attenti, vigileremmo. Perderemmo meno tempo (cioè lo ridurremmo all’essenziale, alle cose importanti), canteremmo un canto in meno, accenderemmo una luce in più. Tutto di noi direbbe: “sto aspettando qualcuno!”.
Aspettare è un’esperienza che trasforma il vivere di tutti i giorni. Aspettare un amico, la persona che si ama, un figlio, una risposta, la possibilità di vedere un po’ di luce in una vita un po’ adombrata cambia il modo di vivere i nostri minuti. Qualcosa dentro si muove, come una molla che si carica, pronta a scattare.
Quando si attende un Importante (una realtà importante), personalmente, mi scappa anche la fame!
Ricominciare ad aspettare qualcosa di importante penso sia la chiave di volta per tante situazioni un po’ stagnanti, per tante vite un po’ insoddisfatte. Ciò che aspettiamo noi cristiani non è una risposta certa, logicamente dimostrabile. Non è una soluzione ad un enigma.
Aspettiamo una persona, un bambino. Aspettiamo la nascita di un uomo che ha da dirci qualche parola, magari anche una sola, magari La parola per la nostra vita.
C’è ancora tempo per non arrivare al Natale soltanto con il pensiero dei regali, del cenone a base di pesce o del pranzo con la solita (povera) oca arrosto!

L’aspettare non è più uno stare lì, in attesa che quel ritardatario cronico arrivi!
Aspettare può diventare il nostro star pronti, con gli occhi aperti, puliti!
Aspettare vuol dire stare svegli, per non fare entrare nella nostra vita “ladri” che ce la rubino!

Aspettare vuol dire accorgersi!



QUOTATION: “Svegliaaa-a!”, Pietro C. domenica 28 novembre ore 11.27

sabato 27 novembre 2010

PIANO PIANO

La musica è una cosa bella.
Questo è un giudizio. Questo – almeno per me – è un dato di fatto. Non solo un’opinione, ma anche una certezza. Non avrei speso, né lo farei tutt’ora, tanto tempo per ascoltarla, per capirla, per conoscerla.
Per suonarla.
La musica è sempre musica. Un conto è suonarla (e poterlo fare bene). Un conto è ascoltarla.
Tutti ascoltano musica, musiche. Tutti ascoltano suoni, rumori, anche melodie, armonizzazioni, polifonie (cioè più suoni messi insieme).
Molti suonano musica. Da parecchio il “mestiere” del musicista non è più soltanto un lavoro per pochi stipendiati. Tanti sanno produrre suoni con uno strumento: una chitarra, un flauto dolce, un’armonica a bocca, un pianoforte..
C’è un po’ un bisogno nel farlo. C’è soddisfazione nel farlo: suonare, oggi, dice qualcosa della persona che suona. Il produrre suoni, il “crearli”, comunica necessariamente qualche caratteristica del produttore di quei suoni, del “creatore” di quelle note.
Anche l’artista più stravagante ha una bellezza da comunicare in quelle note che escono dalle sue mani. Anche suonando poche note, anche suonando cose semplici, che a un orecchio aristocratico possono risultare banali.
Anche se sono poco allenate, anche se non possiedono una robusta tecnica, le mani dei musicisti sono luoghi di interessante rivelazione. Del Bello, quindi, anche un po’ di Dio!

E con questo penso di aver apprezzato adeguatamente (almeno per oggi) quell’arte che tanto fa star bene grandi persone.



QUOTATION: “Se fosse venuto Dio e mi avesse chiesto se volevo essere quel gabbiano, avrei risposto di sì” da Io e te, Niccolò Ammaniti

giovedì 25 novembre 2010

SPECIFICHIAMO il PRINCIPIO



La profezia - di loro stessi - portata all’eccesso.
E il (dis-)valore diventa audience.
Ma se lo dice Saviano…

Ragione specifica: “c’è chi ritiene che sia assolutamente contrario ai propri convincimenti sopravvivere indefinitamente in una condizione di vita priva di percezione del mondo esterno.

E c’è pure chi ritiene che “la vita è bella”. Si chiama Roberto anche lui, no?

Ragione di principio: “un programma di racconti, come il nostro, non ha la pretesa - sottolineano ancora - né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni.


Io, il lunedì sera, voglio continuare a tenere la TV spenta.
Questione di opinioni..
..o forse di principio!!


domenica 21 novembre 2010

OLTRE LO SPETTACOLO LA VITA

Ci sono più modi di assistere a uno spettacolo.
C’è lo spettacolo desiderato. Possiamo desiderare da tanto tempo di partecipare a una rappresentazione teatrale, a un concerto, all’uscita in sala dell’ultimo episodio di quella saga. Il nostro assistere è pieno di trepidazione, ci si prepara per tempo: non vediamo l’ora che finisca la giornata per andare a casa, cenare velocemente, metterci d’accordo con l’amico o l’amica che ci accompagnerà e partire veloci verso il luogo del nostro appuntamento. Pur essendo spettatori, ci sentiamo tremendamente protagonisti di quella serata.
C’è lo spettacolo proposto da altri. Non si conosce più di tanto quello che si andrà a vedere, chi si andrà ad ascoltare. Il nostro atteggiamento può essere curioso o meno. C’è comunque un po’ di interesse, una curiosità. Senza grande entusiasmo, ma almeno c’è qualcosa di diverso da fare.
C’è poi lo spettacolo obbligato. È la partecipazione di chi è obbligato ad accompagnare qualcuno. È noioso farlo. Si diventa nervosi se non si trova il posteggio per l’auto (“ma chi me lo ha fatto fare..?”), la coda alla biglietteria aumenta l’arrabbiatura, il tizio dietro la nostra poltrona continua a sbattere la gamba contro il nostro schienale.. Era meglio fare altro, sicuramente!
Una condanna a morte nell’antichità (ma purtroppo anche ai nostri giorni) era uno spettacolo, uno show, qualcosa da mostrare, da andare a vedere. Quel giorno fuori dalle mura della grande città di Gerusalemme bisognava fare in fretta. C’erano tre esecuzioni, ma anche la festa di Pasqua da celebrare e quei tre farabutti andavano sistemati velocemente.
Gli spettatori a questa terribile scena appartengono un po’ alle tre tipologie.
Ci sono i protagonisti, gli accusatori, i capi, le guardie, coloro che hanno voluto far fuori Gesù. Sono tremendamente convinti di avere ragione: questo Gesù di Nazareth, oltre ad essere un gran bestemmiatore (si era definito “Figlio di Dio”) era anche un imbroglione, un incantatore: ha salvato tanti perché non dovrebbe salvare se stesso?
Se è il Figlio di Dio.. Mi risuonano nella mente le stesse provocazioni che il tentatore, il Diavolo, rivolge a Gesù nel deserto: se sei Figlio di Dio… . A questi, diavolo compreso, non basta la parola di Gesù. Non bastano i segni che ha compiuto. Hanno in mente un’idea di Dio, un’idea di Messia, un idea di fede. Non sono certo disposti a cambiarla, nemmeno di fronte a un innocente che è messo a morte.
Ci sono i curiosi. C’è il popolo che “stava a vedere”, incuriosito, sì, ma anche un po’ intimorito. Di questi nessuno parla. Molti lo avevano accolto qualche giorno prima, sventolando palme e ulivi, cantando: “Osanna al figlio di David!”. Quell’accoglienza era un’accoglienza da re. Ma ora, quel re, stava facendo una brutta fine. Che delusione! Ma quale re? Forse avevano ragione i capi, forse avevano ragione i potenti, le guardie romane, i sapienti del tempo: “Uno così non può essere re!”.
Ci sono poi gli obbligati: i due ladroni. Quello a destra e quello a sinistra di Gesù. Uno dei due è arrabbiato. Arrabbiato con se stesso e con la sua vita, che sta drammaticamente volgendo al termine. Arrabbiato con chi lo ha condannato, con chi lo ha crocefisso. Arrabbiato anche con Gesù, nonostante da colpevole condivida con Lui la stessa sorte, lo stesso dolore. Il dolore suscita anche rabbia, che può essere riversata contro Dio. Ma Dio sceglie di provare lo stesso dolore di ogni uomo. E questo, l’altro ladrone, quello “buono”, lo capisce. “Gesù, ricordati di me”. Solo quattro parole. Non una pretesa, ma una richiesta sincera che parte dal cuore di un uomo che ha capito il suo errore, si è pentito e crede davvero che il Nazareno sia quel figlio di David che in tanti, a parole, avevano acclamato. Gesù ha ancora una parola di vita per quel ladrone beato. “Oggi stesso sarai con me”. Gesù ha sempre una parola di vita anche per tutti noi.
Non per magia, non per forza o violenza Lui è re. Ma perché, donandoci la vita, ci insegna l’amore vero.


NoiBrugherio, sabato 20 novembre 2010

mercoledì 17 novembre 2010

FATTOR-INO



Sarà anche una coincidenza, ma oggi tutto mi parla di poesia.
E quando tutto parla di poesia mi vien voglia di cercare tante rime, di tirar fuori dalla libreria versi e strofe, che so quasi a memoria o, semplicemente, so che mi avevano toccato il cuore leggendoli la prima volta.
Oggi volevo ringraziare una persona: il fattorino che mi ha – finalmente – consegnato un pacco pieno di libri. Libri che parlano di vite, di giovani, di musica, di poesia..
Penso che siano i miei libri preferiti.
Quelli che parlano di vita e di vite.
Quelli che parlano della vita e delle vite dei giovani, come me o come altri.
Quelli che parlano di musica, perché la musica non è solo pentagramma o improvvisazione. Musica è un pianeta a parte, una vita a parte, per la quale occorrerebbero 24 ore in più al giorno..
Quelli che parlano di poesia: di poesia e sulla poesia.

Spegnere la tv (e il computer) in questi giorni è forse la cosa migliore da fare. Per non lasciarsi strattonare da una parte o dall’altra (perché alla fine lo stanno facendo sia i “buoni” che i “mangiamorte”!!).
Allora..
..che sia poesia!
Che sia musica!
Che sia vita!




QUOTATION: A."Ma non hai portato una valigia?" J."Mi basta lo zaino, il pane e la poesia"

lunedì 15 novembre 2010

UOVA



smsMamma: "Domani sera mangi la frittata?"

smsAndrea: "Certo! Ma non la fai da 10 anni, sei ancora capace??"

smsMamma: "Nn ti preoccupà ! Intanto deve andare tutto giù!"


Alle uova sono allergico, ma domani sera farò un'eccezione..

domenica 14 novembre 2010

COERENTI, NONOSTANTE TUTTO



Se c’è un comportamento che ai nostri giorni sicuramente è degno di nota, questo è di certo il comportamento di una persona coerente. Tuttavia la coerenza non è mai una virtù assoluta. Non lo è, per esempio, se la si vive tra il pensare e l’agire male. Essere coerenti vuol dire far “aderire” ciò che si pensa a ciò che si fa. Allora le azioni non smentiscono mai le parole dette. Quanta rabbia ci viene quando grandi promesse, bei discorsi, convincenti comizi non trovano poi riscontro nella vita reale! L’incoerente, il ciarlatano, l’ipocrita (il “fariseo”) danno fastidio, soprattutto ai giovani, soprattutto a chi cerca di dare fiducia agli altri. D’altra parte, però, quanta stima abbiamo nei confronti di persone coerenti! Una persona coerente la si apprezza, la si ammira, si cerca di imitarla. Anche a costo di qualche fatica, anche a costo di qualche sacrificio.
Ascoltando le parole di Gesù, tremendamente serie e drammatiche, mi viene da pensare subito all’importanza, per noi cristiani, di vivere la nostra fede in maniera coerente, di vivere bene ogni occasione che ci è data di dare testimonianza. Nonostante tutto. Proprio così: nonostante tutto! In quel “tutto” Gesù sembra metterci ogni possibile prova, ogni possibile dolore, ogni possibile male: la nostra fede può essere messa alla prova da un male non imputabile all’uomo (terremoti, carestie, malattie); da un male che proviene dalle scelte degli uomini (guerre, rivoluzioni); da un male che arriva a colpire anche gli affetti più cari: delusioni e tradimenti da parte di genitori, fratelli, parenti, amici. Da un male che arriva a versare addirittura sangue innocente. Di fronte a tanto male, spesso letto sui giornali o raccontato in maniera cruda alla tv, ci poniamo tante domande, alle quali abbiamo oggettivamente poche risposte convincenti. Ci si chiede perché Dio permetta tutto questo, perché non intervenga a sistemare qualche situazione “un po’ troppo” negativa. Me lo sono chiesto anche io leggendo questo brano del Vangelo di Luca, cercando di capire cosa veramente conta, cercando di capire cioè, cosa ci chiede di fare Gesù.
Mi sembra chiaro: Gesù ci chiede di non perdere la speranza, di non smettere di avere fiducia in Lui, di non avere paura! La paura è spesso la prima causa dell’incoerenza e quindi di una cattiva testimonianza.
I discepoli di Gesù, i cristiani, sanno che l’ultima parola non è mai del male, non è mai della morte, ma sempre della vita, sempre dell’amore. I discepoli di Gesù, guardando a Lui, credono nella sua Risurrezione, sanno che dopo la morte c’è la vita donata da Dio, la vita vera, la vita eterna. I discepoli di Gesù sanno che solo con la perseveranza, che nasce dal fidarsi di Lui, è possibile salvare la propria vita. A Dio, che Gesù ci insegna a chiamare Padre, non interessa salvare le pietre delle grandi costruzioni, delle quali non rimarrà nulla, ma la vita dei suoi figli, la vita di ciascuno di noi. Per questo nemmeno un capello del nostro capo andrà perduto: perché, nonostante tutto il male che subiamo, a cui assistiamo o di cui siamo responsabili, Dio continua ad amarci, fino alla fine, fino a dare, Lui, la vita al nostro posto.

NoiBrugherio, sabato 13 novembre 2010

venerdì 12 novembre 2010

FA#, mi, DO#..

Tu che sei nei miei giorni
Certezza, Emozione.
Nell'incanto di tutti i silenzi
che gridano Vita
sei il Canto che libera Gioia,
sei il Rifugio, la Passione.

Con Speranza e Devozione
io Ti vado a celebrare
come un prete sull'altare
io Ti voglio celebrare
come un prete sull'altare
questa notte ancora..


freely from Mentre dormi, Max Gazzè

mercoledì 10 novembre 2010

NOSTALGIE



Si parla di nostalgie. Si argomenta a nostalgie. Si piange per nostalgie.
Del passato.
Al presente e al futuro la nostalgia fa problema. Sciocca se accompagna i minuti che vivi, il tuo oggi, surreale se pensata per domani.
Si può scegliere di non averla in un caso o nell’altro.

Uno di questi giorni ho pranzato insieme al Piccolo Principe – meglio - con una sua idea: la nostalgia del mare ampio ed infinito, necessaria per la costruzione della nave.
Più importante della legna, più importante degli attrezzi per fabbricarla.
Più geniale di progetti da disegnare, più efficace degli ordini da dare ai manovali.
Suscitare nell’altro la sana nostalgia del mare lo invoglia a costruire al meglio la barca per navigare.
Metafora? Beh, mi pare ovvio!

Se un giorno dovessi diventare disoccupato (ipotesi al momento abbastanza improbabile), mi piacerebbe diventare un nostalgizzatore.
Di cose belle, di cose buone, di cose vere.
Per rimanere nell’ambito, diciamo..



QUOTATION: “la fami=
glia è la cosa più bella!
" Carlotta, disegnando ciò che ama. In un cuore.

domenica 7 novembre 2010

COCCINELLA




Ci sono alcune cose che in una bella giornata come questa (trascurando la pioggia) proprio non ci stanno.
Come strumenti un po’ scordati che nell’organico fanno stonare tutta l’orchestra.
Note stonate, appunto!
Diapason, tra sé, sente il dovere di ri-dare il La440.

1. Dall’autoradio della mia super micracar questa sera è spuntata una radio-pubblicità. Come sottofondo il pathos delle pubblicità progresso. Le parole di introduzione parlavano di bisogni reali, di problemi di paesi del Sud del mondo. Tutto un climax che muoveva a compassione l’ascoltatore e poi…
il messaggio pubblicitario di un’offerta per villaggi turistici!
2. Guido, guido, guido… sono sempre in macchina e davanti a me c’è una monovolume.
Le luci all’interno dell’abitacolo sono accese. I bambini (due, tre, quattro..) sono in piedi. Saltano, si tuffano. Addirittura uno si mette dritto nel bagagliaio e mi saluta…
Ho pregato il cielo perché chi guidava non si trovasse nel bisogno di frenare!
3. Sempre in auto, sempre l’autoradio mi dice i risultati della serie A.
Mi stupisco: quante nuove squadre dalla serie B sono passate in A! Però, povere, perdono quasi tutte..
..QUASI, appunto!!

Spengo l’autoradio.
Meglio il suono, umile e simpatico, del mio nipponico motore.

p.s.: cosa c’entra la coccinella?
Ogni cosa è un colore”.
La coccinella, a parte rare e letargose eccezioni, è due-colori.
Due brutti colori.




QUOTATION:
DOMANDA “Come si chiamano i sette nani?
RISPOSTA “Mignolo, ...
Cristina, innocente e convinta.

martedì 2 novembre 2010

ON THE ROAD



C’era, un po’ di tempo fa, un articolo di giornale che parlava di una tragedia. Qualcuno aveva perso la vita durante un viaggio in montagna. Un viaggio estremo.
A lato di questo articolo un approfondimento: la riflessione di un alpinista, un uomo che ha fatto dell’estremo camminare in montagna uno degli oggetti di pensiero sulla vita.
Mauro Corona così scriveva:

Il viaggio estremo è spesso una fuga da se stessi… Per provare paura, una necessità che nasce da una sofferenza… Il vero eroe è quello che trova il proprio luogo estremo dentro se stesso” .

Ho ripescato subito questo articolo dopo che l’altra sera, in radio, ho sentito parlare un giovane uomo intenzionato a partire per un viaggio in solitaria, senza comunicare la meta a nessuno, senza preoccuparsi di dove andare, con il solo biglietto di andata e di ritorno.
Il bisogno di partire per viaggiare, visitare, conoscere, incontrare, penso sia innato in ogni uomo. Basta un rumore o una dolce musica a ri-chiamare la curiosità e a far muovere. È un elemento che accomuna tutti. E il viaggiare è bello se fatto insieme.
Viaggiare da soli non è bello, non è comodo, non è funzionale.

Perché allora a volte nasce il bisogno di un viaggio estremo, che permette alla sola solitudine di essere la compagna di cammino?
Hanno la stessa meta i viaggi fatti per turismo, per istruzione, per lavoro, per fede… e quelli fatti con se stessi alla ricerca di non si sa che cosa?

Uomo: vagabondo, turista, pellegrino… e poi?


QUOTATION: “E ti vengo a cercare perché sto bene con te, perché ho bisogno della tua presenza.” Franco Battiato – E ti vengo a cercare