martedì 29 giugno 2010

ACQUA POTABILE

Di notte i pensieri sembrano autentici, più veri. Mi metto al tavolo per scrivere. Penso alla giornata appena trascorsa. Alle giornate trascorse. Al tempo che corre. Troppo in fretta! E tra un pensiero e quell’altro (trillo, è arrivato un sms) ne nascono altri dieci. Così non ho più spazio nella barra del desktop del mio cervello: ho troppi files aperti. Aspettate prendo un pezzo di carta e me li scrivo, così li ordino.
Il primo, il secondo, il terzo… un aggiunta al primo, una parentesi con due frecce per il secondo, due sottopunti al terzo. Ma il secondo sottopunto c’entra con l’aggiunta del primo. Meglio usare anche un evidenziatore, per i concetti chiave: uno due tre, quattro. In rosso questo, in blu quest’altro. Che macello! Troppi pensieri. Però ci sono anche idee buone. Se mi metto a letto, a leggere qualche riga di qualche epico libro, mi vengo idee brillanti. Leggo un po’ delle imprese di Odisseo. Mi sembra di vedere qualcuno dei “miei” ragazzi. Meglio, mi pare di scorgere in certe sue avventure, alcuni tratti dei “miei” ragazzi. Un’espressione del volto, un modo di rispondere, un modo di fare, di parlare, di cercare di farla onestamente franca…
Leggo l’sms, un attimo…

Ok. Ci sono. Parlavo delle straordinarie idee che mi giungono così improvvise di sera, poco prima di addormentarmi. È sempre meglio segnarsele da qualche parte, così da ricordarsele in modo preciso, senza errori la mattina dopo.
Poi mi addormento, cioè in genere lo faccio. Ora che scrivo provo solo ad immaginarlo.
E al mattino dopo…

Nulla! Quelle straordinarie idee, quei fantastici pensieri sembrano ridicoli e banali capricci. Sembra che il sonno, denso di sogni, riporti il cervello e il cuore a livelli più terreni. Sembra che la ragione ricarichi le sue batterie durante la notte. È folle, ma è così. Nel tempo e nello spazio dell’impossibile vivere, il sogno, la mia testa recupera un po’ di grigio e burocratico senno. E le cose che di sera voglio fare, le imprese che mi riempiono di grinta, mi paiono tutte delle grandi stupidate. La sveglia suona la seconda volta, il tempo si fa breve. Mi aspetta la giornata, la lunga giornata. Non c’è troppo tempo per sognare ad occhi aperti. Forse i sogni sono gelosi della notte. Forse è solo il buio e il silenzio, il caldo o il tremendo freddo; saranno le stelle o la luna o il sonno del sole a permettere ai sogni di essere. Non lo so. So che se ho in mente grandi progetti è meglio realizzarli di notte. Per questo mi trovate in piedi fino a tarda notte.
“Tarda notte”, ma si può dire?

aNdRe


QUOTATION “Chi fa il liceo artistico da grande o fa il disegnatore o fa l’idraulico!” Giuseppe, sempre lui!

sabato 26 giugno 2010

SPOKEN WORDS

Scoprire uomini stra-ordinari. Ecco cosa spesso mi trovo a pensare. Persone che fanno lavori più o meno normali (con la solita distinzione (o forse no?) del normale recinto più grande).
Uomini e donne, ragazzi e ragazze, che hanno un tocco di magia, che ti fanno ben sperare, che ti fanno dire, quando li saluti e riprendi la tua strada, spalla a spalla verso il vostro futuro, “che bella persona che è!”. Spesso non li incontri nemmeno di persona. Li trovi nel tuo bar di fiducia (bar-romeo) oppure stampati sulla copertina di libri che hai sul tavolo. O su panchine invernali o sotto tende estive o appoggiati a muri o in bicicletta o scalzi o armati fino ai denti…

A volte parlare con loro mi lascia stordito, spiazzato.
Perché non ci ho pensato anche io a questo? Perché questo pensa alle stesse cose che penso io? E questa cosa così semplice, donde viene?
E sento come un coinvolgimento, come una sim-patia, un sentire comune, uno stare bene insieme, allo stesso tempo, allo stesso modo.
Come quando gli innamorati dicono di guardare la stessa stella e di sentirsi un po’ più vicini, pur abitando in due parti diverse della Terra. Ma vicini a che cosa?

Quelle persone ti mettono in crisi a volte, con pensieri, critiche, a volte lacrime, da togliere il respiro. Ti vorrebbero tirare un pugno. Te lo dicono, o glielo fai dire tu.
Ti prepari a riceverlo, perché sai che se te lo tirano poi stanno meglio.
Ma non sempre lo fanno, per fortuna. Perché sanno che se te lo tirano poi tu non starai meglio.

Un sentimento strano.
Di attesa per ogni volta che speri di incontrarli. Di apprensione se vieni a sapere che qualcosa nella loro vita non va per il verso giusto. Ti danni le notti per pensare a cosa stiano facendo, per chiedere a Dio un po’ di bene, un po’ di Amore per il loro navigare nel mondo. Per il loro volare in mongolfiera, di qua e di là.
Sorridi se al mattino trovi un sms che ti dice: “grazie” e tu sai di non aver fatto nulla per meritartelo.
Stai in apprensione se l’ultima volta che hai visto uno di loro questo ha pianto disperandosi.

Comunque sia: gli voglio bene, anzi no, penso di amarli. Altrimenti, “che merito ne avrei?”
Mancano ancora infiniti sorrisi e specchi in azione. Ma non è mica facile, eh!!
C’è una frase che ho trovato sul blog del solito piccolo principe. Potrei metterla come citazione. Ma ne ho in mente già un’altra.

Per saper scrivere bisogna aver letto, e per saper leggere bisogna saper vivere…

Per dire: quel princip-ino non è normale, è speciale!
Un sms anche lui, please.
aNdRe

p.s.: grazie fabio, per avermi messo “sottosopra” ieri pomeriggio! Ho pianto, non me ne vergogno, ma ora sorrido, perché so crederti, perché so davvero volerti bene!


QUOTATION: “la cresima serve per diventare maggiorenni nella chiesa, e per finire di venire a messa. no?” Giuseppe, con aria interrogativa e desiderio di conoscere una risposta

sabato 19 giugno 2010

CON UNA ERRE SOLA

Ok, va bene. Parliamo di rondini.
Avrei voluto parlare di coccinelle, ma tant’è… parliamo di rondini!
Perché farlo? Perché le rondini sono animali eccezionali. Penso di amarle.
Se credessi nella metempsicosi non sarebbe male pensare di finire nel corpic-ino di una rondine.
Forse si è troppo abituati a vederle o a sapere che ci sono. Ma perché dovrebbe essere scontato che ci siano? Voglio dire, perché ogni anno dovrebbero tornare? Perché lasciare le calde, o comunque miti, praterie africane, dove insetti e sole sono assicurati, per venire da noi, da noi barbari e latini, da noi che le uccidiamo uccidendo il loro cibo, che non permettiamo loro di farsi casa, di farsi una famiglia, di riempire i nostri cieli e i nostri tramonti del loro libero e liberante garrire?
Perché dall’Africa tornano le rondini? Metafora o no, vorrei saperlo! Anche se dovesse essere solo una domanda che in qualcuno che legge accende la curiosità di guardarle, di cercarle, di pensarle. Pensare a una rondine mi fa venire voglia di cercarla in cielo, di guardare il cielo, di cercare il cielo. Ora sta più o meno piovendo, e penso che Allegra e Giullare stiano riposando. Ma domattina, quando il sole comincerà ad accarezzare ogni metro quadrato della Valle, saranno loro, rondini. Una parte da un punto, l’altra da un altro. Si chiamano, cantano insieme. Partono come una squadra e arrivano una dopo l’altra a destinazioni casuali. Se pensi siano matte hai paura che possano venirti addosso, che possano ferirti, che possano farti male. Ma se le ami non hai paura di loro, le cerchi e loro cercano te. Giocano con te. Sono come dei delfini attorno alla carena della barca. Le rondini sono i delfini dell’aria…

Di tutto ciò mi compiaccio.
Continuo a leggere a piccole pagine il libro da tanti consigliato. Il giudizio per ora rimane segreto.
Ma ho voglia anche di dire di quella coccinella.
Sì, perché dopo giorni di stufevole pioggia finalmente l’altro giorno è sembrato comparire un raggio di sole! Così, passeggiando lento lento e vigilando sui miei piccoli compagni di viaggio, mi sono fermato un poco, seduto su una panch-ina. Per terra una pozzetta d’acqua e con fatica tremenda un insettuccio che nuotava disperatamente verso la riva, cioè verso la mia panch-ina. Poi all’improvviso, qualcuno, di fianco a me:


“Guarda una coccinella!”.
“Ma no! Non è una coccinella!! Non vedi, è arancione e senza punti?! Le coccinelle sono rosse e con sette punt-ini neri”

lui si deprime un pochetto, non molto. Allora per permettergli di segnare l’1 a 1, dopo qualche istante gli chiedo:

“Ma le galline sono mammiferi?”
“ Beh...si, certo, fanno le uova ma sono mammiferi! Perché me lo chiedi?”
“…”

Il tutto è proseguito notando come la pseudo-coccinella, annoiata dal nostro discorso, spiegando le ali, si è allontanata da noi posandosi sul tronco di un albero, finalmente al sicuro, dall’acqua…e da tanta follia!
La natura sa come difendersi da noi bestie!

aNdRe


QUOTATION: "Non è difficile...è solo un po' più articolato..." Giovanni Battista Lacca

sabato 12 giugno 2010

FATTO P(i)SICOLOGICO

È una pizza. No sono quattro. E sono preparate alle dieci e mezza della sera. Nel locale non ci sta proprio nessuno. Ma è tutto acceso, allora vale la pena entrare. Addosso ancora i vestiti sporchi della giornata da lavoro. La pasta è buona, ben cotta. Non sottile non spessa, come piace a me. Il trasloco, come al solito, è una cosa noiosa e devastante.
Che fortuna avere delle brave donne sempre pronte ad aiutarti: santa nonna, santa mamma!
Il problema sono le zanzare. Cioè, loro lo scatenano. La “discussione” vera e propria è su quelle lampade viola che folgorano tutti gli insetti che attirati dalla sirenica luce viola trovano il loro ultimo e drammatico “zac”.

[cameriera, con accento napoletano]
“Non servono a niente!, quelle (le zanzare, n.d.r.) si sono fatte tutte furbe. Signo’, oramai l’hanno capito che gli fa male a quelle. Quindi dicono: noi addosso a lì non ci andiamo. Però sa, i clienti. Vedono una lucetta, sentono “zac e crack” e si sentono più sicuri… è tutto un fatto pisicologico…!”

[la cliente, al tavolo]
“Ah, si. Ha ragione!”
[poi con voce sommessa, agli altri del tavolo, in sapiente dialetto lainatese]
“Mi hu dì da si, ma hu capi nient…!”

Poi, vabbè, ci sarebbe un’altra pizza, mangiata tardi, su un marciapiede, con due persone straordinarie, anzi direi proprio speciali, che nemmeno loro sanno di esserlo.
Ma quella è un’altra storia…

…i motori della mongolfiera son già accesi, il pallone aerostatico è già gonfio di aria calda. Si aspetta di caricarlo con gli ultimi bagagli prima di decollare per il Bangladesh, dove penso cenerò, ricordando questi ultimi tre mesi e mezzo, con un sorriso, sorseggiando un vino italiano, in compagnia, spero, di qualche sherpa himalayano (perché nessuno si ricorda mai degli sherpa!!).

aNdRe



QUOTATION: “Così la tua avventura volava oltre la tua fantasia…” Antonella Ruggero in Sognando

domenica 6 giugno 2010

MURO GIALLO, MURO ARANCIO

Uno non ci pensa neanche. Neppure gli viene in mente di poter trovare gente pronta ad accoglierti in casa, senza farsi troppi problemi. Aggiunge una sedia al tavolo e urla in cucina: “un piatto in più!”.
E il pranzo ha inizio!
Entri in una casa, in una famiglia di cui non conosci nessuno. Tutti si presentano e, immediatamente, non ti ricordi più i loro nomi. Ma ti fidi, certo che ti fidi. Senti già da subito che sei il benvenuto, sei uno sconosciuto benvenuto. Tutti vogliono dirti qualcosa di loro: le mamme quanto è difficile star dietro ai figli e sopportare i mariti, i mariti come lo è con le mogli. I figli… beh, si capisce cosa gli riesce difficile.
Tutto, come se fosse lì preparato da sempre, è per te. C’è addirittura la domanda sul “cosa non ti piace mangiare?”. Gratuita cortesia in aggiunta al gratuito invito per un pranzo altrettanto gratuito.
“Peperoni e cetrioli”. Un sospiro per lo chef, assolto dalla possibile colpa di aver cucinato qualcosa di non gradito. Il sorriso è immediato e anche la sensazione di essere voluto bene. Perché?
Davvero l’amore è dappertutto, come dice quel tizio nel film… e penso anche io, insieme a lui, che se uno si sforza di cercarlo e di vederlo è davvero possibile trovarlo. In strada, al supermarket, a scuola, al lavoro... Al di là dei formalismi, che spesso non sono solo tali, si trova molto più amore che odio, molto più bene che male: di cosa lamentarci?

Risposta: dei ROMPISCATOLE!!

aNdRe

QUOTATION: “È solo una breve sequenza programmatica in una generale assenza di programmazione” Jean Luc Nancy in L'intruso

mercoledì 2 giugno 2010

REPUBBLICA

Apro la finestra di camera mia per chiudere l’imposta. Sono anni che non lo faccio più. In genere quando torno a casa, le più o meno rare volte che torno, la persiana di camera mia è sempre (già) chiusa. La mia camera sembra essere sempre buia. Come se fosse disabitata. In realtà ogni tanto ci dormo ancora in questa stanza, che è stata la stanza dove sono cresciuto, dove ho imparato le tabelline, la filosofia di Kant, il calcolo dei limiti…
Ricordo ancora molto bene la sera in cui mi resi conto di aver imparato a leggere. Ero seduto nello stesso punto in cui sono ora. Avevo in mano il foglio con l’orario scolastico. A ogni ora non corrispondeva una materia, ma il cognome della maestra. La prima parola che ho letto in vita mia è stato il cognome della mia maestra di italiano: la stessa maestra che il primo giorno di scuola, diciassette anni fa!, mi ha chiamato assieme ai miei compagni; la maestra che aveva asciugato le lacrime di chi non voleva staccarsi dalla mamma e non voleva incominciare la scuola; la maestra che anni dopo, per ben due volte, ha asciugato le lacrime di tanti compagni della nostra 5° B di fronte alla “partenza” di due di noi… . Sì, la maestra Nadia!

Di fronte a questo tramonto un po’ di pensieri. Il primo è senza dubbio il non trovare i miei amici pioppi. Erano sette, tutti in fila. Mi hanno fatto compagnia ogni giorno di tutta la mia infanzia, preadolescenza e adolescenza. Ora non ci sono più. In compenso c’è un nuovo quartiere di ville e case di benestanti. Sic!
Poi ho quel pensiero che vuole che i tramonti siano cose tristi. In parte è vero. In parte no. Ho sempre guardato al cielo infocato e ho sempre pensato: “Beh, quelli dall’altra parte o si bruciano tutti o non dormono tutta notte!”. Non sapevo ancora che la terra non è piatta.
Penso anche ai monti che vedo in lontananza (e mentre scrivo riguardo il cielo: è tutto rosso. Davvero “sembrano fantasmi” quelle nuvole). Non ho mai capito quali monti fossero, ma non dovrebbero essere troppo diversi dalle montagne che si vedono dalle finestre dell’altra mia casa.
Penso all’esame di domani. Penso al rumore delle macchine che sento. Penso al vento.

Penso a quei due che ho incontrato oggi, mentre stavo guidando. Un uomo e una donna. In bicicletta! Il punto esclamativo è perché oggi, andare in bicicletta, non era certo la cosa più intelligente da fare. Infatti facevano una fatica immonda, cercando di pedalare e, comunque, procedendo a poco a poco, sulla loro strada. Sorridevano. Sembravano felici. Ma io penso che qualche parolaccia l’abbiano anche detta.

Auguri, Mamma e Papà, da ventisei anni insieme, ma penso da sempre uniti, nonostante il vento, pedalando sulla vostra/nostra strada!
aNdRe


QUOTATION
Non è un gran vantaggio chiamarsi Viskovitz quando quel poco che la vita ha da offrire è distribuito in ordine alfabetico” Alessandro Boffa in Sei una bestia, Viskovitz

martedì 1 giugno 2010

DIAPASON ovvero...

R come RITORNO…
Diapason… διά πασῶν, “attraverso tutte le note”. Attraverso i suoni di tutta la musica. Musica, metafora della vita.
Il diapason ti mette in testa una nota. Una nota precisa. Una nota senza la quale le altre non esisterebbero o, se ci fossero, sarebbero solo pensate, senza azione, senza un realmente esserci. Il diapason ti fa sentire il “la”. Quel suono che accorda tutta un’orchestra. Unico suono per infinite composizioni. Una sola nota, attraverso tutte le note.
Ricomincio da qui. Da un “la” 440 Hertz. Ricomincio da dove avevo lasciato. Dalla lettera R, se non sbaglio.

R come RITORNO.
Ricomincio da qui perché qualche mese fa un amico mi chiese: “Ma tu hai un blog?”.
E io, un po’ impacciato gli ho risposto: “Lo avevo…”.
Ricomincio da qui perché un giorno un giovane ragazzo mi ha cercato da Roma, chiedendomi perché io conoscessi la sua mamma. Un giovane che non vede la sua mamma da anni, perché la sua mamma è quella donna dimenticata dal mondo, che probabilmente l’ha aiutata a morire da sola.
Ricomincio da qui perché il Libro delle facce non ti permette di avere grandi spazi di comunicazione: qualche titolo, qualche frase, qualche pensiero intervallato da foto e link di filosofi dell’ultima ora, che scoprono l’acqua calda della felicità pagata a caro prezzo, di innamorati, pare da sempre destinati ad amarsi, e di altre piccole o grandi cose.
Cose, appunto, generiche cose.
Ricomincio non sapendo cosa, quando, quanto scriverò. So però che voglio farlo e ricomincio a scrivere.
Come defibrillatore penso mi abbia aiutato la lettura, di tanto in tanto in queste ore dense di altrettante cose da fare, di un testo, una “creatura”; di un libro che fin dalla sua introduzione mi ha fatto pensare. E pensare bene ovviamente. L’autore è una grande persona. Una persona che ho capito essere grande perché sa guardare nel cuore del mondo e da esso trarre il segreto per condurvi tutte le straordinarie piccole vite a lui affidate. Buona fortuna Piccolo Principe!

Prossimamente gli aggiornamenti per la grafica, per gli optionals, per altre cose, magari non tanto inutili.
Sperando, ma non bramando, di essere letto da qualcuno.
Ogni post non può non essere firmato da una citazione (com’era buona tradizione fare) e per ri-cominciare direi che è opportuno ribadire il concetto base
di tutto ciò.
A presto!
aNdRe


QUOTATION
“Solo l’amore è credibile!” Hans Urs von Balthasar