venerdì 31 dicembre 2010

TE DEUM



Si canta il Te Deum per ringraziare. Si dice a Dio "grazie" per le cose che in questo anno sono successe, per le cose belle e meno belle, per le persone incontrate, per quelle conosciute, per le parole dette o ascoltate.
È giusto e bello farlo.

Per:

- mamma e papà: perché mi hanno amato e donato la vita;
le persone che mi hanno aiutato a crescere e voluto bene: nonni, zii e i miei tanti parenti;
- i miei educatori
: don Peppino, don Davide, don Angelo, perché ci sono e mi donano la loro vita, ogni giorno;
- la mia classe
: perché insieme stiamo camminando verso la meta, insieme gioiamo e tutti i giorni comprendiamo la bellezza, ma anche la fatica, di non tenere per noi la vita, ma di perderla per Lui;
- la pastorale vocazionale (Epv): don Alberto, don Tommaso, Barbara, i ragazzi della S. Martino e della vocAdo, perché con loro ho potuto gioire nel seminare parole che chiamano alla vita (vera!);
- don Ernesto e don Paolo
: con loro ho camminato in questi anni;
- don Giovanni e don David
: con loro cammino e camminerò nel futuro;
- tutto quello che in questi mesi significa per me la parola “Brugherio”: don Vittorino, don Alessandro, don Pietro e i tanti ragazzi incontrati e che sto incontrando, perché ora è questa la vigna in cui lavoro;
- i fratelli e le sorelle che silenziosamente e in ogni parte del mondo mi vogliono bene e mi sostengono;
- i ragazzi dell’OLR, dell’oratorio Olimpo Moneta di Tabiago, del S.Luigi di Baggio, S.Giovanni Bosco di Canzo;
- tutte le persone incontrate e conosciute evangelicamente, incontrate e conosciute a Seveso, che ancora vogliono farmi partecipe del loro cammino;
- Alessandro D’Avenia
e il suo romanzo: perché le grandi persone fanno tanto bene e lui è una grande persona;
- Josè Mourinho
e la squadra di calcio che ha vinto tutto quello che poteva vincere, l’Inter;
- chi
fa della musica il suo sogno, il suo progetto, il suo amore;
- i tanti libri letti che mi hanno aiutato a crescere;
- le chiacchierate, le telefonate, le lettere, le e-mail, gli sms ricevuti e inviati, perché mi hanno costretto a fare i conti non solo con il mio ombelico ma con la bellissima vita dei miei tanti amici;
- (quindi) i miei tanti amici: quelli di sempre e quelli nuovi, per la loro fedeltà e per il loro bisogno (reciproco) di stare insieme;
- le panch-ine
: quelle di legno vicino ai cimiteri, quelle di pietra sotto gli alberi e al sole, quelle di metallo in riva ai fiumi, perché senza le panch-ine è difficile diventare grandi;
- la musica e il mio pianoforte
: perché con loro continuo a sognare;
- tutti gli amici che non ci sono più sulla terra e che in Cielo continuano a vivere;
- il Diapason: uno strumento musicale e un posto dove poter dire quel po’ di bene che mi appartiene;
- il mio amico Johnny
: perché.. lui sa il perché..

..te Deum laudámus:
te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem,
omnis terra venerátur.


sabato 25 dicembre 2010

PUGNI di NATALE



Il Natale è un sacco di cose. Scriverò a riguardo.
Oggi, però, sarei ipocrita se mi mettessi a scrivere solo cose belle, solo cose dolci. Cose che la gente desidererebbe leggere o sentirsi dire per "riscoprire lo spirito del Natale" che si è perso col tempo.
Ho voglia di scrivere di alcuni "pugni" metaforico-natalizi che ho ricevuto in questa lunghissima giornata.

Il primo. Da un ragazzo, 17 anni, che in una chiacchierata ha voluto sfogarsi un po'.
A domanda risponde:
"Cosa ne dici di questo Natale?"
"che è una bestemmia come tutti gli altri.. solito.."

Il secondo. Da due clochard, questa mattina, al parcheggio della metro. Era l'ora di pranzo e uno di questi (più o meno avrà avuto la mia età) parlava con un ragazzo molto più giovane di funghi allucinogeni.
Era il loro pranzo di Natale.

Il terzo. Da un altro clochard. Mentre pago il parcheggio alla cassa automatica mi si avvicina. Ho già in mano qualche moneta di resto e allungo il braccio per dargliela.
Lui, guardando un po' schifato la mia mano, mi chiede:
"Scusa potresti darmi una sigaretta?"
Ritiro il braccio.
"Mi spiace, non fumo"
In questo caso il pugno gliel'ho tirato io.

Natale vuol dire fare i conti con la vita.
Buon Natale a tutti!

domenica 19 dicembre 2010

ASPETTARE VUOL DIRE SILENZIO



Aspettare vuol dire silenzio..



QUOTATION: “Il dramma degli uomini è non trovare mezz'ora di silenzio ogni giorno”, Blaise Pascal

giovedì 16 dicembre 2010

din, don, DAN!

Potrei scriverlo sul facile profilo di Facebook.
Ma scriverlo su Diapason per me, oltre che più semplice, è anche più vero.
Ci siamo dis-abituati a scrivere. Lo dicono in tanti, prof in testa. Colpa, anche, del libro delle facce. Almeno con msn si aveva l’illusione della possibilità di un blog, riempito il più delle volte da forme arcaiche di post facebookkiani, ma c’era la fatica del dover pubblicare qualcosa da creare. Ci scappava sempre qualche parola scritta. Ora non più. Non si scrive più nulla. Sembra sufficiente condividere, taggare o altre parole strane, entrate a far parte del nostro vocabolario.
È un peccato, un vero peccato. Di quelli che ci si dovrebbe andare a confessare!
La cosa che volevo scrivere è che oggi, la mia prof di lettere del liceo, La Prof, mi ha fatto ancora sognare.
Grazie, prof!

Tutto qui?
Si, tutto qui!

domenica 12 dicembre 2010

TOCCARE LA GIOIA



Tutto quello che ci circonda (persone, cose, ambienti..) noi lo possiamo comprendere a partire da alcune capacità che possediamo fin dalla nascita.
Possiamo vedere un tramonto, ascoltare una canzone, annusare un profumo (o una puzza!), gustare un torta al cioccolato, toccare una persona.
Di immagini, di suoni, di odori, di gusti ne abbiamo a decine, a centinaia riempiono le nostre giornate, a migliaia formano la nostra vita.
Ci sono poi i “tocchi”. Quelli sono un po’ più rari.
Il “tatto” è una sensazione “a km 0”, serve vicinanza perché si possa toccare o essere toccati. Bisogna stare vicini, o almeno abbastanza vicini.
Altrimenti non si tocca proprio nulla.
Ci serve un con-tatto.
Un contatto si ha quando di fronte a noi c’è qualcosa da toccare, qualcosa che già abbiamo visto, che già abbiamo ascoltato, probabilmente annusato.
Si contatta qualcuno quando si vuole fare esperienza di quel qualcuno:
con il cellulare, in chat, su Facebook…
Abbiamo bisogno di contattare, di contatto,
per conoscere qualcuno, per essergli vicino,
per volergli bene.

La gioia, per riempire una vita, ha bisogno di essere toccata. A volte baciata. Spesso mangiata o – meglio ancora – mangiata spesso!
Perché non c’è nulla da fare: o la vita la vuoi ricevere tutta intera da chi continuamente te la dona o non la ricevi per niente. Rimanendo un po’ così, “turbato”; come una città superata dai “grandi eventi” di un piccolo borgo, come un re geloso del suo stesso regno.
Pieni di invidia, di rabbia, di nero, di nulla.
Niente tocco, niente gioia, niente vita.

Questa attesa, che rapida conduce alla memoria di una luce con la quale vogliamo essere illuminati; che ci aiuta ad ascoltare con il cuore ogni sussulto di vita; che svegliandoci dal sonno della mediocrità e dell’in-differenza ci fa accorgere degli altri, ci insegna che il nostro desiderio dimora in questo: nel bisogno, vitale, di toccare la gioia!

sabato 11 dicembre 2010

PIZZA e DOLCETTI

L.(12anni) "Sto morendo!"
Andrea(23anni)"Di che cosa?"
L. "Di ingordità!"
D.(12anni) "Si dice ingordizia, babbo!"

Vita beata!

giovedì 9 dicembre 2010

LUCE


Ma la tua Parola mi rischiarerà
Luce non vedo ancora. C’è bisogno di una luce che illumini. Inutile illudersi di non averne bisogno.
Una luce che.. faccia luce! Me lo raccontano le persone, mentre camminiamo per strada. Omar, dal Senegal, 24 anni, 2 figli, venditore di libretti che nessuno compra. È musulmano.
Mi chiede: “A Natale dobbiamo sorridere tutti, vero?
Io sorrido. E lui aggiunge: “Bravo! Tanti auguri!”. E se ne va contento perché – io penso – è stato capace di farmi sorridere, anche senza vendermi nulla. Una luce, anche lui.
La vita è spesse volte piena di opacità, di ombre, di oscurità, di buio, di tenebra. Di nero. Tutto nero, niente luce.
La vita, però, non è solo questo. In pochi e semplice gesti, in un saluto regalato che augura “buona serata” a una e da una s-conosciuta signora sul treno, in un caffè offerto e bevuto insieme a un amico, in un abbraccio che dona e chiede pace: in tutto questo (e in molto altro) c’è luce. La luce delle piccole cose. La luce delle cose piccole e semplici. La luce delle cose semplici ed essenziali, invisibili agli occhi, ma non per questo inesistenti. La luce delle cose vere, della verità. La luce di quelle realtà che non s-cadono mai
nell’abitudine e non fanno mai cadere nell’aridità, ma regalano sempre acqua fresca, che toglie la sete;
donano sempre il gusto e la pienezza di una compagnia vera, che soddisfa anche brevi istanti di vita.
È una piccola luce quella che sto aspettando: per la mia vita, prossima a grandi scelte, e per quella di tanti fratelli e amici che di questa mia vita fanno parte.

Aspettare vuol dire – anche – volersi illuminati dalla Luce.
Maranatha!



QUOTATION: “Il giorno in cui esco dalla classe senza avere imparato qualcosa dai miei ragazzi è un giorno in cui non ho insegnato..non ho provocato la loro vita, che quindi è rimasta in-differente..” Alessandro

martedì 7 dicembre 2010

MOKA



Sarà anche buono il caffè che fanno al bar. Non lo metto in dubbio.
Anche quello che ultimamente viene chiamato il caffè "con le cialde".
A mio modesto parere la moka rimane la regina assoluta.
Fare il caffè con la moka non è fare il caffè "più in fretta". Come se il caffè fosse un precetto da assolvere: "devo prendere il caffè, lo faccio il più velocemente possibile..".
"Fare" il caffè, prepararlo, a casa, con la moka, è un vero e proprio rito.
C'è una preparazione. C'è l'acqua, l'aria, il fuoco e in qualche modo parte della terra.
C'è un'attesa, accanto al fuoco. Presso quella magia ogni senso viene investito.
Il profumo ti invita, il rumore, quel gorgheggiante suono di caffè pronto da bere, scalda ogni cosa. Il calore della bevanda amara addolcisce ogni risveglio, anche quelli più freddi, anche quelli che (speravi) potessero avvenire almeno cinque o sei ore dopo l'esserti coricato.
Non ci sarà la crem-ina dell'espresso: ma chissenefrega. Il gusto, per me, sa di casa, di affetto, di premura di chi ti vuole bene.

Ricordi di ieri e speranze per oggi: buona giornata a tutti!


domenica 5 dicembre 2010

ASPETTARE VUOL DIRE ASCOLTARE

Qualche spunto me lo ha dato il vivere questa fresca domenica, una lunga telefonata con un amico, l'ascoltare una grande persona e, come spesso accade, lasciandomi insegnare dai "piccoli".
Ripensando alla lunga settimana, passata ad ascoltare.

1. Ascolto risposte all’orecchio
dAle “Se ho una cosa importantissima da dire cosa devo fare?
M. (9 anni) “Vai in televisione!
S. (9 anni) “No! Perché i bambini poveri non hanno la televisione!

Santa sapienza, quella dei bambini!
Però è vero: se ho una cosa importante da dire – ultimamente – occorre farsi un po’ scaltri. Se dovessimo fare tutti un po’ come Giovanni (il battezzatore), che andava nel deserto ad urlare le cose importanti, sicuramente pochi ci ascolterebbero. Se ho una cosa importante, come mi suggeriva all’orecchio questa mattina M., bisogna che vada in televisione, che mi faccia vedere, che salga su un “palcoscenico” e dia il mio spettacolo. Oppure mi serve un microfono!

2. Ascolto parole che scuotono
In realtà, leggendo bene il brano di Vangelo, che trasporta il mondo romano già (!) a metà dell’Avvento [ma non era appena iniziato?], si nota come non siano certo parole dolci o smielate quelle del cugino di secondo grado di Nostro Signore.
Razza di vipere” è un insulto bell’e buono, della serie “uno scossone non fa mai male”, soprattutto in questi tempi in cui occhi e orecchie son già pieni di immagini e caotici suoni e quello che ci serve è, forse, tastare con mano la verità delle cose. La classica e tradizionale terapia d’urto può ancora – deve ancora – fare miracoli!

3. Ascolto per la prima volta
da queste pietre Dio può suscitare figli
È vero! È vero! È vero!
In ogni istante c’è una possibilità da sfruttare per “suscitare figli”. Oserei dire farli ri-nascere, nel senso di ri-cordare (portare nuovamente al loro cuore, vagamente simile ad ac-cordare) loro la possibilità di una vita piena. Una vita da figli. Capita per strada. Capita sulla metro. Capita anche su un tavol-ino, di fronte a una cioccolata e di fianco a qualcuno incontrato per la prima volta nella vita. Può capitare davvero “in ogni occasione”.

4. Ascolto parole che diventano cose
Serve un microfono per chi non ha più voce, per chi non riesce a parlare, per chi non riesce a capire cosa sia giusto fare. Chi non sorride, chi piange, chi muore. Microfono è solo un piccolo suono del cuore. Quel di più che ti fa ascoltare, sentire (cioè toccare) ciò che per te è il meglio. Un servizio. È servire!

Mi basta sapere, alla fine di questa settimana, di essere stato un po’ un microfono: capace di far risuonare la sua Parola (che è passata, in tanti e diversi modi, ma è passata!) e di sussurrare a chi ne aveva bisogno: “Tu sei il meglio!”.

Aspettare vuol dire ascoltare!

venerdì 3 dicembre 2010

INDIA



"..allora ho cominciato a capire che a loro appartiene il regno dei cieli."

Francesco Saverio