mercoledì 21 marzo 2012

LO STUDIO ROSSO



Prima di iniziare a leggere questo post accendi il video che c’è alla fine e poi riprendi da qui. Così, giusto per creare una buona colonna sonora, che unita alle parole, può lasciare un sapore buono al tempo che mi regali leggendo.

Scrivo questo post senza avere di fatto molto da dire. C’è chi tra coloro i quali seguono di tanto in tanto queste pagine ha chiesto. Ed ecco qualcosa, anche se non è nulla. Ma l’ho già detto. Qualche impegno e la vita un po’ qua (qua?) e un po’ là (è sempre un là!) hanno rallentato parecchio l’attività di aggiornamento diapason. In realtà la vita di questi mesi non è così caotica come sembra, vista da fuori. Da dentro la sensazione è quella di una grande corsa con un timer in mano. Il timer ha più countdown: inizio aprile, fine aprile, inizio maggio, fine maggio, inizio giugno, inizio luglio, inizio agosto, fine agosto, ... . Insomma tutta una corsa di inizi e di fini, col duplice senso che questo plurale ha e che indica la fine di qualcosa e il fine per cui vivo questi mesi!

Avendo allora qualche ora di calma
oggi non lavoro!
(lavoro...)
aggiorno questo bello strumento per accordare gli strumenti un po’ fuori corda e per prendere quel centro di gravità permanente indispensabile per farelamusica (tuttattaccato). 

La primavera è iniziata da ieri e non da oggi, babbani! 
A Roma le cose non sono ancora cambiate! 
L’amico Elvis, nella canzone ri-arrangiata al pianoforte, ricorda che non si può fare a meno di innamorarsi. E qui a ciascuno il suo. Basta cinismi! 
Di Inter meglio non parlare,  ho fatto un fioretto! 
Noto con piacere l’entusiasmo che sale, pensando al prossimo 9 giugno, in tantissime persone che conosco, che incontro, che ho incontrato e che rivedo dopo parecchio tempo. E ringrazio, unica cosa che posso fare, perché questo entusiasmo tutto vostro mi carica, ci carica, di una forza tutta Sua! E ci ricorda che la fine di questo cammino non è che l’inizio... 
Grazie!

Sicuramente vi sarete attardati a guardare i primi secondi del video e il brano sta giungendo alla fine. Quindi chiudo. Nella speranza di scriverci/leggerci presto. Il titolo e il quadro di Matisse non c’entrano davvero nulla. E’ stato un suggerimento arrivato questo pomeriggio e l’ho colto al volo. Chi lo cercherà su un qualsiasi googlemotorediricerca, forse, troverà anche questo surreale post. Allora ringrazio anche te, lettore di passaggio, se hai voluto passare 4minuti della tua giornata con noi. 


Mangiate tanta cioccolata! 
Ma è Quaresima...!

sabato 3 marzo 2012

QUATTROCENTONOVANTA


I primi passi di questo mio cammino, che sta arrivando quasi alla sua meta, li ho mossi perché impaurito. E’ stata la paura per un uomo a farmi alzare da quelle scale, è stato il timore che quel ragazzo, la sua richiesta, il suo apparirmi più morto dei morti, potessero farmi del male. Dalla paura, da una paura male interpretata, mi sono alzato e ho iniziato a camminare.
Poi son successe tante altre cose.
Ma una costante mi ha accompagnato in questi anni: l’accorgermi di come la paura riesce a ferire o a paralizzare più della cosa stessa temuta.
Lo trovo poco normale e un po' mi infastidisce.

Mi infastidisce la paura per le parole.
Mi infastidisce la paura per le persone.
Mi infastidisce la paura di dire la verità.
Mi infastidisce la paura di dire per una volta che le cose non vanno bene.
Mi infastidisce la paura di mostrare i propri difetti.

Mi infastidisce chi ha paura dei suoi amici.
Mi infastidisce chi ha paura di ricevere amore.
Mi infastidisce chi ha paura di perdonare o di essere perdonato.

Potrei continuare, ma in questi giorni vivo questi fastidi, non altri. 


L’altro giorno, mi trovavo in una classe di un liceo classico, una quinta superiore. Parlando un po’ della mia storia mi è capitato di aprire una piccola parentesi tra le cose che stavo loro dicendo. Riguardava l’importanza del perdono, l’importanza di mettere da parte quel grande o piccolo torto che abbiamo subìto per poter godere della cosa che conta di più: la vera amicizia, quella per la quale il buon Dio ci insegna a donare la vita. Suggerivo loro di sbrigare in fretta le litigate che avevano aperte, perché nella vita può darsi che improvvisamente non ci sia più tempo per farlo. Suggerivo loro di perdonare con manica larga, anche a costo di fare la figura dei fessi, anche a costo di sembrare ridicoli.
Le loro domande e i loro pareri mi hanno fatto capire che per alcuni avevo toccato un nervo scoperto: “La forza di perdonare qualcuno che continua a farti del male non è umana e forse non è nemmeno giusto perdonare chi non se lo merita e chi non chiede di essere perdonato”.

Mi avevano descritto quella classe come una “bella classe”. In senso ironico. Eppure la bellezza di quella classe è stata reale, concreta, piena. E l’ho riscontrata nei loro occhi quando mi fissavano vivi, parlando loro dell’importanza di perdonare tante volte.

 “Quante volte?
Settanta volte sette.
Non umano, divino!

p.s.: dedico questa canzone a loro e a chi leggerà. Mi sembra car-ina.