domenica 10 aprile 2011

«CREDI QUESTO?»



Se potessimo ascoltare alcuni dei colloqui che gli insegnanti hanno periodicamente con i genitori dei loro alunni, ci stupiremmo per quante volte viene ripetuta una frase, una specie di ritornello, che sembra andar bene per tanti: «Suo figlio è intelligente, ma non si applica!».
Al di là di ogni commento e valutazione scolastica, sembra che l’atteggiamento del «poter fare qualcosa», ma del «non volerlo fare» sia abbastanza diffuso non solo tra i più giovani, ma anche (e soprattutto) in molti adulti. Quello che una volta veniva indicato come il peccato capitale dell’accidia, oggi pare aggredire tantissima gente, nelle più diverse forme di pigrizia, di svogliatezza, di rimando e di disattenzione rispetto alle cose importanti da fare.
La pigrizia, oltre a uccidere il tempo libero che ci è dato da vivere al meglio, piano piano fa spegnere ogni nostra passione, ridimensiona ogni nostro progetto, riduce ai minimi termini i nostri sogni, cancella a uno a uno i nostri desideri. Insomma, ci fa «morire dentro».
Il tema della morte è il punto di partenza di questo episodio del Vangelo di Giovanni. Muore un uomo, Lazzaro. Muore un fratello, il fratello di Marta e Maria. Muore un amico, uno tra i migliori amici di Gesù. La narrazione di questa storia, però, ci fa meditare anche su un altro tipo di morte, quella del cuore.
Da sempre sede delle emozioni, dei desideri, dell’amore, il cuore è davvero l’organo indispensabile alla vita. Non sempre, tuttavia, la morte del cuore corrisponde alla morte del corpo. Il cuore può rallentare il suo battito (o addirittura arrestarsi) molto prima che il corpo trovi il suo «eterno riposo». Questo riposo, promessa alle tante fatiche della vita, se troppo anticipato può rischiare di non farci vivere per ciò che siamo fatti, ci impigrisce, ci lascia inoperosi, nonostante i nostri talenti, nonostante le nostre capacità, nonostante la nostra intelligenza, non applicata. E non solo a scuola. Per uscire da questo tunnel di svogliatezza e di non-vita, proviamo a guardare Gesù.
È veramente curioso il suo comportamento prima di compiere il miracolo sull’amico Lazzaro. Non si tira indietro, nemmeno sapendo che in Giudea c’era gente pronta a lapidarlo. Non solo! Le sue parole sembrano volerci dare uno scossone, per tutte quelle volte in cui mille scuse bloccano i nostri passi, le nostre migliori intenzioni, quando la pigrizia e l’accidia vogliono rallentare il bene che vorremmo fare, lasciando il nostro cuore addormentato, freddo. Proprio come il corpo di Lazzaro nel sepolcro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo».
È questo che fa Gesù con la nostra vita un po’ addormentata: ci risveglia! Il testo originale greco usa lo stesso verbo per indicare il risveglio e la risurrezione: uno stesso verbo per indicare uno stesso costante bisogno per l’uomo, quello di alzarsi, di stare in piedi, svegli, di non rimanere nel sonno.
Ma davvero siamo tanto addormentati da sembrare morti? Abbiamo anche noi bisogno di essere svegliati? Sono solo le grandi tragedie della vita a far morire, poco per volta, il nostro cuore o sono anche tutte le volte in cui «risparmiamo» i nostri talenti e il nostro amore verso Dio e verso gli altri?
Sembrano tutte domande retoriche!
Certamente troppo spesso il nostro atteggiamento di cristiani, più che di credenti in una vita nuova e bella, sembra quello di gente scontenta, obbligata, appesantita. In una parola: abituata.
Possono, però, i discepoli del Risorto apparire come gente abituata o annoiata dalla loro vita? No!
Sicuramente tante volte viviamo sofferenze più grandi di noi. Succede ai piccoli, succede ai grandi: una delusione d’amore, l’incomprensione dei genitori, un tradimento, la perdita del lavoro, una separazione, una malattia, una morte. Da dove trovare la forza e la speranza per andare avanti?
Troppo spesso ci capita di dimenticare la concretezza della carità (che è l’amore che Gesù ci ha insegnato) che è un sorriso a chi ci incontra, un saluto ai nostri colleghi, l’interessamento per la vita degli altri.
Riusciamo a venire fuori da tutti questi problemi da soli? No di certo. Anche la reale sofferenza di Marta e Maria non è stata consolata soltanto dalla pur preziosa vicinanza dei Giudei giunti a casa loro, ma ha avuto bisogno della presenza di Gesù, tanto cercata: «Signore, se tu fossi stato qui…».
Ad un certo punto per loro due è stato necessario cercare Gesù, averlo lì con loro, presente nella loro vita, per ascoltarlo, per consegnare a Lui in una confidenza tra amici il loro dolore, perché sapevano che era l’unico in grado di poter fare qualcosa di grande per loro e per la vita, ormai persa, di Lazzaro.
Per svegliare dal sonno di una morte che uccide il cuore prima del corpo, occorre cercare Gesù e riconoscere che Lui solo può mettere le cose a posto. Non perché faccia grandi miracoli, come in quel giorno davanti al sepolcro dell’amico, ma perché solo da Lui, nella sua Parola e nel suo Corpo donato per amore, possiamo ricevere la vita, la vita vera: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?».

NoiBrugherio, sabato 09 aprile 2011

2 commenti:

  1. Molto vero, e da tenere a mente spesso....

    Ed è anche lo strumento per uscire dal (P)NCS,(PPN)...

    A presto.

    N°2

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  2. Home; Paragrafo; Interlinea e Spaziatura paragrafo; Rimuovi spazio dopo il paragrafo..
    Mi ci è voluto un po', ma poi ho capito!
    Ti manca il MCSI, caro #2.

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