domenica 6 febbraio 2011

RAP FUTURISTICO




Il titolo mi pare obbligato. Un atto di carità, l’altra sera, mi ha inculcato in ogni singola cellula del mio corpo quella “canzone”. Non esce più. Nemmeno se mi sforzo. E lo sforzo è condiviso da tante persone. Perché quando quella canzone ti entra nelle orecchie, come un invisibile serpente, si aggroviglia attorno al tuo cervello, nella scatola cranica, affonda le sue spire giù fin nella gola, per fartela canticchiare in ogni angolo del mondo e per poi morderti allo stomaco. E poi dallo stomaco può prendere due direzioni. In entrambi i casi l’istinto non gli vorrebbe far fare una bella fine. Tant’è: anche nel caso in cui si riesce ad espellerla - la canzone - perché ad alcuni fa vomitare, ad altri fa qualcos’altro, non ce ne si può liberare tanto facilmente. Il serpente, infatti fa presto le uova e ogni cm della nostra esistenza è condannata a ridicoli contorcimenti corporei e a qualche rima, che senza dubbio “è meglio di prima” [ecco, gli effetti ancora presenti in me!], ma che globalmente non hanno alcun senso sensato.
Poche le cure. Forse un esorcismo. O forse qualche ricordo.
Sì: la scrittura di qualche ricordo di questi giorni dovrebbe pacificarmi un po’ le orecchie.

Allora parto da ieri pomeriggio. Un pomeriggio direi alquanto buio. Totalmente buio. O no? Immagino, scrivendo, di trovarmi di fronte le facce di chi era con me sabato pomeriggio. Se fossimo ancora là, non riuscireste neppure a leggere queste parole. Potremmo soltanto…dialogare. Entrando in questo mondo tuttobuio, mi è venuto in mente che, se diapason può voler dire “attraverso tutte le note”, dialogo potrebbe voler dire anche “attraverso le parole, attraverso i discorsi, attraverso i suoni, attraverso il senso, attraverso il mondo”, a seconda del significato si voglia dare alla parola logos (e ogni buon grecista sa quanti significati può assumere quella parola!). Al buio il mondo è davvero un’altra cosa. Scontato, banale direte voi. No, non lo è per niente. Se per un’ora e un quarto si può “giocare” a vivere in un mondo tutto buio, immagino come deve essere la vita di chi non vede realmente nessun colore, nessuna luce.
Lo immagino in questa settimana in cui tutto sembrava parlare dell’importanza della luce. La festa della presentazione, la candelora, l’ultimo post tutto sulla luce e su chi ne ha paura. Sabato pomeriggio mi sono fatto guidare da una persona che sa vedere la luce anche dove la luce manca. La sa vedere nei suoni, la sa vedere nei profumi, la sa vedere nel tono della voce delle persone che incontra, sapendone indicare anche l’altezza. La sa vedere anche nel nome proprio di una persona. Direi che la mia guida, cieca, mi ha insegnato che la luce la si può trovare nel mondo così come è creato. Nella vita, in quanto tale. Ogni giorno.
Uscendo da quel percorso, Ari ci consigliava di tenere un po’ socchiusi gli occhi perché forse la luce avrebbe potuto darci fastidio. Avremmo potuto soffrire un po’ di fotofobia, di paura della luce.
Tornando a casa, spalancando gli occhi, ringraziavo il cielo per il dono dei miei occhi. Occhi aperti per catturare ogni immagine, ogni suono, ogni volto, sapendo che nulla mi è dato per merito mio. Grazie Ari.

Oggi, invece, la situazione era totalmente ribaltata: dal nero al bianco. Bianco come il latte? No! Bianco come la neve di una gita spassosissima con centonovanta personc-ine, che hanno voluto semplicemente stare insieme. Un paio di spaventi belli grossi, un elicottero tutto giallo che rapiva uno dei bimbi a noi affidati, un cagnolone color miele.
E poi una bimba che voleva vedere il colore della mia macchina. Io, come tutti gli altri, sono venuto in pullman, ma la convinzione di un bambino è davvero qualcosa di irresistibilmente indistruttibile.
Ho girato quasi un’ora per tutti i parcheggi della zona, tirato da lei, che ad ognuna delle millemilioni di macchine parcheggiate mi chiedeva:
È questa la tua? Di che colore è? Possiamo provarla?
No, non è questa la mia e non possiamo provarla?
Perché?
Perché non è nostra
Perché?

Perché?
Rap futuristico: A, B
… perché?
Già, bella domanda!


QUOTATION: "Le mie rime la gente le mima, dopo tutto sono meglio di prima.." F.Fibra, Tranne te.
(mi chiedo come fossero le rime..prima)


4 commenti:

  1. Serie di interventi cromo-lumino-sociali.
    Il buio non si può misurare in intensità. La luce si. Viene da chiedersi se fotofobie, luci, bui, colori, bianco-neri, siano solo costruzioni per inscatolare in stretti concetti la singolarità, inevitabile, di ogni esistenza. Viene da chiedersi quale deduzione, nel confrontarsi con diverse intensità luminose sparse per il globo, sia più corretta ed efficace. Per se e per gli altri. Oltre al profondo sentimento di auto-valorizzazione di chi si sente portatore di luce. Poi, volendo, esiste il senso del non-senso che giustifica ogni cosa. Cantano, e fanno cantare, i Taizè: “Christe lux mundi, qui sequitur te, habebit lumen vitae, lumen vitae”. I Taizè compongono melodie che restano nella mente. Non escono più. Come il Rap, futuristico.
    Mx

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  2. Caro Max, da qualche parte devo aver scritto il perché scrivo su questo blog, o perchè scrivo in generale. Lo faccio unicamente per me stesso. Certo, se tu avessi Facebook, vedresti che una certa pubblicità alle cose che scrivo non manco di farla. Lo faccio pensando che un po' di bene riesco a farlo anche condividendo le cose che vivo e che riesco a fissare con le parole. So, perché me lo dicono, che a qualcuno serve. Anche se non avessi quel feedback che è il contatore di visite, continuerei a scrivere, sempre!
    Poi penso sia il senso della scrittura: quello che scrivi lo scrivi per te. Quelli che vengono dopo possono trovarsi infinite altre vie di utilità.
    Non mi sento portatore di luce mia personale, ma cerco di essere piuttosto portatore della Luce di un altro, anche se il Vangelo del rito romano di ieri ricordava a tutti la nostra essenza: luce e sale.
    I Taizé, tra le tante cose, hanno visto giusto anche in questo: "Cristo, Luce del mondo, chi ti segue, avrà la luce della vita!". Parole sante!
    Grazie per il tuo commento. aNdRe

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  3. Il mio precedente era contenitore di provocazione, colta. Nulla offusca quella Fede dal monito: ”non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti”. Tante vie: sopra il lucerniere, su di un blog, meglio ancora nella vita di tutti i giorni. Chi vi adempie ha del raccolto, e trova IL senso del suo essere portatore, se chi viene illuminato, o insaporito, ne risponde con beneficio. Da qui nasce la provocazione dell’analisi dei risultati; spesso tanto, troppo, in contraddizione con la singolarità dell’origine di tanti bui. Oltre all’intenzione del portare, è fatta necessità il raccogliere; altrimenti c’è il rischio di cadere nella sola attribuzione della gradualità della luce altrui.
    Tedoforo, compito arduo. Di ognuno, forse.
    Mx (prego, si ometta la vocale nel mezzo)

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  4. Giusto.
    Mi sono dimenticato l'origine rabbinica. E ho vocalizzato dove non avrei dovuto.
    Chiedo venia!!(d'a-venia).
    Condivido quello che è stato scritto. Solo un appunto: un anno di epv (quello che ho fatto l'anno scorso, per intenderci) mi ha insegnato a seminare. Continuare a seminare, senza la pretesa di raccogliere nulla. Il risultato è comunque garantito: 100 volte tanto. Anche questa mattina è arrivata una notizia: una spiga che ha cominciato a germogliare, di un seme piantato due anni fa.
    Come dice uno che conosco: il sugo più buono cuoce a fuoco lento!
    ciao

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