venerdì 13 maggio 2011

PAUSA…

...lettura.
Continua, lentamente, la scalata verso il 63° esame. E continua pure la lettura dell’autore del mese aprilemaggio, Volo.

Intrinsecamente, semi di verità son dispersi qua e là in tutto lo spazio e il tempo di questo universo, così amorevolmente creato parecchi anni fa. Così capita di imbattersi anche in pagine interessanti. Pagine reali, meglio, realistiche, che ti fanno pensare che alla fine siam tutti sulla stessa barca. E, se la barca sta affondando, è il caso di darsi da fare per aiutare a salvare il maggior numero di vite. Nonostante tutto.
Lo scopo di questo blog è condividere un po’ di cose che mi fanno bene, nella speranza che lo possano fare anche a chi legge.
Allora condivido. Chissà se è reato…

Una sera, quando ero piccolo, mi ricordo che con la mia famiglia e quella di Nicola siamo andati al luna-park. Prima di ritornare a casa siamo andati in una bancarella di pesci rossi, quelle dove devi tirare le palline nei vasetti, e se fai centro vinci un pesce.
Volevo assolutamente un pesce rosso.
Si poteva scegliere: o lo compravi o provavi a vincerlo. Mio padre mi disse: «lo compriamo?». Io risposi di no e decisi di giocare. La ragazza incassò i soldi e mi portò dieci palline colorate. Le mise in un cestino come quello che aveva mia sorella sulla bici Graziella e mi disse: «Buona fortuna».
Dieci tiri, avevo dieci tiri, dieci possibilità. Al quinto tiro non ce l’avevo ancora fatta, guardai nel cestino e quell’effetto scenico delle palline colorate era decisamente meno appariscente. Tirai la sesta, niente. Settima, macché. Ottava nemmeno a sparargli. Nona fuori di poco, decima e ultima bordo, bordo, bordo, fuori. Tutta la delusione del mondo. Non ce l’ho fatta. Niente da fare, le palline rimbalzavano sui bordi dei vasetti e poi cadevano fuori. Accidenti.
Ho capito poi con gli anni di chi era stata la colpa. Cazzo... non si dice buona fortuna. E lei lo sapeva, la sinta lo sapeva: era una imprenditrice e con il suo «buona fortuna» statisticamente dava via meno pesciolini.
Nemmeno Nicola ci riuscì.
Alla fine comunque suo padre glielo comprò, allungò un bel cinquemila e prese uno stupendo superpesce rosso al mio amico. Mio padre mi disse di no. In macchina mentre tornavamo a casa, Nicola seduto sul sedile dietro con me, si guardava il suo pesciolino e io lo invidiavo. Mentre mi ripetevo dentro: «non è giusto, non è giusto, non è giusto» lui sembrava felice il doppio. Nicola godeva per il suo pesce e per il mio non-pesce.
Oggi che sono un ometto mi chiedo se mio padre – che quel giorno ho odiato con tutte le mie forze – abbia fatto bene oppure no.
Si può anche perdere. Lo avevo imparato. Credo sia sicuramente un caso se adesso Nicola è cocainomane.
Quella sera nelle mie preghiere chiesi a Dio perché avevo un padre così crudele e non uno come quello di Nicola. Mi ricordo per esempio che a scuola avevo dei compagni che mi dicevano: «Se mi promuovono mio padre mi compra la bicicletta. Se vengo promosso mio padre mi compra il motorino. Se sarò promosso mio padre mi comprerà un cane».
Io tornavo a casa e dicevo a mio padre: «Se mi promuovono cosa mi regali?».
E lui: «Se ti promuovono hai solamente fatto il tuo dovere. Niente di più».
Quelle sere nelle mie preghiere...
Poi magari un giorno così, senza motivo, senza una particolare occasione o ricorrenza, tornava a casa con una bicicletta nuova per me e mi diceva: «Regalo!».
Quelle sere nelle mie preghiere chiedevo a Dio di essere un bravo bambino e di non fare arrabbiare il mio papà che era speciale.
Con mio padre adesso ho un rapporto di una bellezza quasi commovente. Se ripenso alle nostre discussioni di quando ero adolescente... ora mi è tutto più chiaro, eravamo differenti e lo siamo ancora. Ma nessuno dei due ha più la necessità o la voglia di avere per forza ragione.
Le discussioni più divertenti erano quelle sul fatto che non volevo pagare le multe. Pur sapendo che le avrei pagate comunque di più, dopo, non riuscivo a fare diversamente. Era una specie di mania: dovevo ribellarmi. Mi sentivo un po’ il Braveheart del codice della strada. Come Mel Gibson avrei portato in piazza la rivoluzione, piuttosto che pagare un divieto di sosta.
L’altra discussione che ormai era praticamente un rituale nasceva nel periodo natalizio. Mio padre mi ripeteva tutti gli anni la stessa frase: «Vai a messa almeno a Natale».
F. Volo, Esco a fare due passi

Questa storiella mi ha fatto venire in mente, chissà perché, quella scalmanata di mia cug-ina, Martina Vivacebamb-ina, e la fiaba, tormentante fiaba, che negli ultimi tempi riempie pure le mie notti di incubi (anche stanotte!, ma almeno per oggi un motivo serio c’era!).
La fiaba è quella di Cappuccetto Rosso.
Se capita a qualcuno di cercarla sull’Enciclopedia Libera (più che libera direi gratuita, connessione a parte!) si scopre che la bamb-ina che porta il nome del suo cappott-ino rossoscarlatto, era tra le tante cose, anche cannibale.
Sic!
La storia – dice il wik-compilatore - è incentrata sull’antitesi bene e male, villaggio e foresta, uomo e lupo, gente buona e gente cattiva, paura degli sconosciuti, dei diversi, evita chi non è come te, quello con la pelle colorata e non bianca, chi prega sul tappeto e chi dondolandosi contro un muro… ecc, ecc, ecc… .
Giudizio conclusivo: “un’antitesi tipicamente medievale.
Medievale???
Ok. Con i dovuti accorgimenti, ci può stare. Accorgendoci che “l’uomo buono” a volte sembra più “cattivo” (etimologicamente: “prigioniero”) del Lupo nero e che il villaggio è spesso più pericoloso del pacifico e silenzioso bosco. A conti fatti è un po’ come se vivessimo in un’età di mezzo, un Medio Evo. L’ennesima età di mezzo. L’ennesimo Medio Evo.
Sognando un Rinascimento. L’ennesimo Rinascimento.
Trovando versioni diverse del racconto, non mi preoccupo più di tanto nell’aver sempre pensato che Red LittleCap fosse entrata su indicazione stessa della mamma nel bosco, con la sana raccomandazione, poi, di non fermarsi a parlare con nessuno. Pare invece, secondo altre fonti, che la cara mamm-ina avesse esplicitamente ordinato di non entrare in quella foresta (ovvio: in tutte le fiabe il bosco è abitato dal Lupo! Quanto non è babba quella bamb-ina?! Pure io però…!).
Eppure succede. Eppure RLCap entra in quel benedetto bosco e, trasgressione delle trasgressioni, si ferma a parlare con quel lupacchiotto (che poi banchetterà con nonnetta in calzamaglia e dentiera e nipot-ina disubbidiente).
La libertà di quella bamb-ina era stata messa in guardia dal comando della madre, preoccupata unicamente del bene di sua figlia, ma ha avuto bisogno di trasgredire una regola, di essere, almeno una volta, un po’ ribelle, di sentirsi “assolutamente” (cioè “sciolta”) "auto-noma "(cioè “con regole proprie”). Quella ribellione, che in realtà è ingenuità, le è costata cara, le è costata la vita.
E la vita, fiabescamente, l’ha persa sul serio.

Se finisse così mi pare davvero triste. Per fortuna c’è il cacciatore che ammazza il lupo (la frase non è né politicamente né ecologicamente corretta, ma la storia è questa e non la si può cambiare!): la nonna recupera la sua dentiera, si mangia la focaccia preparata dalla figlia, ringrazia e rimanda a casa la nipota, un po’ cresciuta, un po’ più matura, forse meno ingenua, perché ha capito che la vera ribellione è accettare e stare nel bene che riceve e che vive. Grata alla madre per le sue raccomandazioni e felice di essere ancora in vita.
Fine della storia.
Medioevo, Rinascimento.


Morale della favola:
Non fare il bullo, se non sei capace.
Ascolta tua madre: se ti rompe è perché ti vuole bene. Succede anche quando ti dice: “portati un maglione”, tu lo lasci a casa e poi hai freddo!
Puoi fare tutto quello che vuoi di testa tua, ma la vita funziona in un certo modo e provare ad evaderla non serve a niente. Restaci dentro!
Se vedi che tua nonna assomiglia più a un cane che.. a tua nonna e non ti fai delle domande, allora hai qualche problema!
Amen.


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