giovedì 10 marzo 2011

AIRONE


Chat-line: confidenze virtuali
"Finalmente ciao Airone. Finalmente noi. Chissà perché è così bello incontrarsi qui. Così magico. Al buio, solo lo schermo del computer a fare luce. Silenzio, il rumore leggero dei tasti. L’idea che il mio messaggio appaia davanti ai tuoi occhi magicamente. Come nato molto lontano e capace di vincere il tempo e le distanze. Capace di vincere il nulla, l’ignoto.
Parlare con te è la cosa più bella che mi sia capitata. La cosa più bella di ogni giornata. Ed è un bene che avvenga a tarda sera come un sollievo per tutte le difficoltà che si sono accumulate in sole quindici ore. Troppe.
Oggi, per esempio, è successo veramente di tutto. Sono riuscita a discutere con mia madre, mio padre, mia sorella, la mia migliore amica, il mio fidanzato.
Un record.
Ecco che di nuovo ti sommergo con i miei racconti che devono averti dato di me un’idea orribile. Mentre tu, Airone, sei bravissimo a non darmi segnali, indizi a cui potrei appigliarmi per abbozzare un tuo identikit. Non sono riuscita a capire nulla di te e questo apre ogni spiraglio di fantasia e creatività. Così ogni volta che ti scrivo ti immagino diverso, ora adulto, ora giovane, ora donna, ora uomo.
Già, potresti essere un uomo più o meno dell’età di mio padre.
Morirei dal ridere all’idea di aver parlato tanto con una persona che avrebbe potuto essere mio padre. Io con lui non parlo da che ho smesso di andare all’asilo. Anno più, anno meno. Non che la colpa sia solo sua, certo, comunque è andata così. Inutile recriminare. Mio padre ha lo sguardo di chi ha raggiunto esattamente quello che sognava da bambino. Uno sguardo fermo, senza debolezze, che non abbassa mai. Quello sguardo io non riesco a sostenerlo, perché provo vergogna di tutte le mie incertezze, dei miei dubbi, delle mie paure di non riuscire. Io non ho la sua forza. Io non gli somiglio. E da sempre penso che lui non possa perdonarmelo.
Oppure penso che potresti essere una donna come mia madre. Ancora più divertente. Ho raccontato tutti i miei segreti e i pensieri più nascosti ad una donna che potrebbe essere mia madre. Che ha delle figlie dalle quali si aspetta esattamente quello che mia madre si aspetta da me. Il problema è proprio questo: mia madre ha delle aspettative e precise. Ha migliaia di libri e li ha letti tutti. Ha la tessera del partito dalla gioventù. Ogni giorno un paio di quotidiani e qualche settimanale. Mi piacerebbe molto essere così e cerco da sempre di leggere e capire, come le ho sentito ripetere sin dalla mia infanzia. Accade però una strana cosa: quando mi trovo a parlare con lei, preferisco fingere di non sapere per paura che le mie convinzioni non coincidano con le sue e siano quindi irrimediabilmente inadeguate. Probabilmente il fatto che io la pensi diversamente sarebbe per lei una prova di straordinaria indipendenza intellettuale. Ma io proprio non ce la faccio.
Al contrario mia sorella.
L’unica cosa che ha imparato dalla mamma è la preoccupazione della propria bellezza. La mamma però è discreta in questo suo aver cura di sé e il risultato è una bellezza sussurrata e non gridata ai quattro venti perché tutti la guardino. Mia sorella non ha capito nulla e cerca gli sguardi del pubblico mentre mia mamma offre agli sguardi altrui la propria sicurezza. Quando ci incontriamo, di solito è notte e siamo a letto, cerchiamo di allacciare uno straccio di dialogo, quello che sarebbe normale ci fosse tra due sorelle con 5 minuti di differenza d’età, ma mi addormento intristita mentre lei mi chiede di aiutarla a scegliere il fidanzato giusto tra migliaia di pretendenti. Mai viste due gemelle identiche nell’aspetto e tanto diverse dentro.
Negli ultimi giorni mi domando perché racconto proprio a te di mio padre, di mia madre, di Viola. A te che potresti essere il padre, la madre o la sorella di qualcun altro che in questo momento al buio e in silenzio sta scrivendo di te. E così via in un circolo vizioso che sarebbe sano interrompere, parlando ognuno ai suoi, senza paura. La risposta che mi sono data è che tutto è più facile perché tu non mi guardi negli occhi. Non ti ho davanti a me, non vedo rughe di disapprovazione sul tuo volto o smorfie di perplessità. Non leggo delusione o insofferenza.
Non ti sento. Non sento la tua voce quindi nessuna irritazione o nervosismo o durezza di tono. Non ti giro intorno per la casa tutto il giorno, non cerco la tua attenzione proprio nel momento meno opportuno o perdo i tuoi orecchini preferiti proprio il giorno in cui la macchina si è fermata nel bel mezzo di un ingorgo e hai un diavolo per capello. Ecco forse è troppo facile diventare amici o amarsi senza avere la possibilità di darsi un po’ di fastidio. Senza essersi un po’ antipatici. Senza avere un po’ paura l’uno dell’altro.
Quello che noi stiamo facendo questa sera è sostanzialmente niente altro che un adulterio. Si tradisce la propria famiglia, dedicando il proprio tempo, l’attenzione, la disponibilità, la pazienza ad un estraneo che non è un nostro problema, verso il quale non abbiamo doveri, che se dovesse cominciare a non piacerci, potremo cancellare con un clic. Qualcuno che da noi non può pretendere nulla e tutto ciò che gli regaliamo favorisce la sua assoluta gratitudine. Qualcuno che ha problemi come i nostri ma ci sembrano meno mostruosi perché non ci coinvolgono direttamente, li guardiamo da lontano e possiamo suggerire soluzioni come fossimo oracoli. Soluzioni che sicuramente risultano intelligenti e che cadono a pennello perché in fondo l’esito che ne deriverebbe, anche se non fosse positivo come avremmo pensato, non ci procurerebbe nessun rimprovero. Insomma il massimo del risultato con il minimo dell’impegno.
Pensandoci bene anche noi, Airone, per parlarci abbiamo avuto bisogno di accettare un legame, di affidarci ad una «rete» dalle maglie invisibili, che sembrano non intrappolarci le ali, il cui filo non dà la sensazione ai nostri polsi di logorarli o stringerli troppo. Una rete virtuale che non ha il peso e l’odore della realtà, non soffoca, non può spaventare.
Probabilmente se ci incontrassimo ad una festa, potresti non trovarmi neppure simpatica e io magari ti guarderei per un solo attimo archiviando subito la tua presenza, per nulla incuriosita dai tuoi discorsi oziosi. In fila allo sportello della posta non alzeremmo neppure lo sguardo dal giornale, niente di interessante in noi. Questo perché la realtà è come è, non come la immaginiamo e spetta solo a noi la fatica di saper intuire negli interstizi il bagliore di una potenzialità, di una ricchezza e decidere di faticare perché queste vedano la luce e rendano la nostra vita più attraente e semplice.
Mio padre in questo momento è nello studio, anche lui con la sole luce dello schermo del computer, ho voglia di correre giù e di abbracciarlo forte dicendogli che ho grande progetti per il mio futuro ma anche mille paure. So bene che il lieto fine non è sempre la conclusione delle vicende della vita. Forse non alzerà neanche la testa dal computer. Ma credo che si diventi grande tentando grandi imprese. E le grandi imprese non riguardano mai le cose ma sempre i nostri legami con le persone.
Mia madre sicuramente è a letto che legge un libro, forse andrò da lei a dirle che McEwan è un grande, che non sono del suo partito, che ho letto tantissimi dei suoi libri di nascosto.
E quella con mia sorella sarà un’altra bella guerra.
Così questa è l’ultima volta che ricevi un mio messaggio. Ti prego di non rispondermi.
Credo sia ora di cominciare a vivere."

Stefano Lupi, NPG gennaio 2000, p.78

3 commenti:

  1. "E le grandi imprese non riguardano mai le cose ma sempre i nostri legami con le persone."
    Niente in più da aggiungere.

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  2. che bello questo testo andre. oltre alla citazione che qualcuno ha già scritto sopra ce n'è un' altra che mi ha colpito tantissimo:
    "ecco forse è troppo facile diventare amici o amarsi senza avere la possibilità di darsi un po’ di fastidio. senza essersi un po’ antipatici. senza avere un po’ paura l’uno dell’altro."
    Un po' per questa frase e un po' per il finale del testo mi viene in mente un discorso che ci faceva il professore di estetica l'altro giorno sul fatto che (stiamo parlando dei giudizi e di kant) spesso quando diciamo che qualcosa "non ci piace" è perchè “cerchiamo nell’altro – oggetto o persona che sia – quello che diciamo noi e non quello che ha da dirci lui”.
    appena ho letto la citazione che ho riportato mi è venuto in mente... insieme a due o tre visi; guarda caso in effetti sono quelli dei miei più cari amici!?
    [non mi firmo tanto ho lasciato abbastanza indizi :-D]

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  3. è più semplice aprirci con chi non abbiamo di fronte. però non avere mai uno sguardo di disapprovazione che intimorisce non aiuta a crescere.
    scriversi con qualcuno che apparentemente ti capisce ma che non fa il tuo bene perché magari non è "brutale" come può esserlo qualcuno che ti conoscere bene (ad esempio una madre), non permette di capire dove possono essere i nostri sbagli.
    scriversi fa bene, può essere anche liberatorio...
    ma vedersi, toccarsi, sorridersi, è tutta un'altra storia...

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